Quando c’è una occasione ghiotta di assistere ad opere rare, recuperate o mai portate in scena è sempre un piacere riuscire ad essere presenti all’evento. È questo il caso del Nerone di Arrigo Boito rappresentato al Teatro Lirico di Cagliari a metà febbraio, con un prevedibile successo di pubblico e per la prima volta sulle scene del teatro cagliaritano. Da quasi cinquant’anni non si vedeva questo mastodontico lavoro nel teatri italiani e dobbiamo ringraziare il Lirico se ciò è accaduto di nuovo.
Molto si è parlato della gestazione complicata per il fatto che il compositore non abbia vissuto a lungo da completare l’opera. Controverso anche il discorso sulla completezza o meno della composizione, che si può considerare musicalmente terminata con il quarto atto, come da progetto del compositore ma lasciato esso stesso incompiuto, oppure monca drammaturgicamente di quel quinto che la tragedia originale dello stesso Boito contemplava, ove il personaggio di Nerone, in verità un po’ ai margini nel finale attuale, completava una sorta di cerchio psicologico iniziato nel primo atto, ma che sarebbe stato probabilmente irrappresentabile in teatro secondo il parere di Ricordi. Come si sa poi furono Antonio Smareglia e Vincenzo Tommasini con lo zampino di Toscanini a completare l’attuale quarto atto e l’opera debuttò postuma nel 1924 a Milano, esattamente cento anni orsono, e probabilmente il dibattito su come sarebbe stato il vero finale rimarrà aperto a lungo, a meno di non riprendere il discorso in chiave moderna traendo spunto dal lavoro stesso di Boito.
Noto soprattutto per i celeberrimi libretti dei verdiani Otello e Falstaff, col Mefistofele, che lo stesso Lirico ha portato in scena verso la fine dell’anno appena trascorso, e il Nerone appena andato in scena, il compositore milanese è oggi considerato non solo come librettista e poeta ma anche come esimio musicista. Ed il regista Fabio Ceresa ha voluto rendergli giustizia nel modo più appropriato portando sul palco uno spettacolo meticoloso, attento, di una eleganza garbata che grazie alle scene di Tiziano Santi ed ai costumi di Claudia Pernigotti trae spunto sì dalla Roma che ci si aspetta, ma che se ne discosta immediatamente per volare su di un piano soprattutto ideale, enfatizzato dalle luci sempre azzeccate di Daniele Naldi e misto di richiami tanto al classico architettonico quanto al moderno, con l’immagine dell’EUR ed i riferimenti al moderno gioco del calcio per esempio, e con un tocco di stile ispirandosi, per l’immagine di Nerone che risplende sul sipario, al busto ‘Nerone da Olbia’ che il Museo Archeologico di Cagliari espone con orgoglio ed è stato anche in prestito niente meno che al British Museum nel 2021.
Imponente anche l’apparato musicale e canoro con interpreti di rilievo ed una orchestra in grande spolvero. Francesco Cilluffo pone in risalto l’imponenza della partitura che di conseguenza con l’orchestra risulta impetuosa, ricca ed avvolgente come una cascata in tutta la sua bellezza. I volumi certo sono possenti, ma la perizia degli interpreti ha fatto sempre emergere la qualità del canto e del suono prodotto.
Nella recita cui abbiamo assistito il protagonista è un ottimo Konstantin Kipiani, dalla voce generosa ed una presenza scenica che riesce ad esprimere tutto il dilemma interiore di un Nerone assetato di vittoria su tutto e tutti, ma che viene tormentato dai suoi demoni per l’assassinio della madre Agrippina. Ciò che forse manca in questo suo percorso psicologico è il crollo emotivo con l’apparizione dello spirito di Agrippina che sarebbe avvenuto nel quinto atto. Il regista cerca di concludere in un certo modo il discorso con la figura di Nerone che troneggia trionfante alla fine del quarto atto dopo che l’incendio è ormai divampato sulla città.