Il Duemilaventitré dell’ Arena di Verona si fregia di offrire al suo pubblico serate speciali, nuove produzioni operistiche e i suoi grandi classici, come certo si può definire la ormai leggendaria Tosca firmata Hugo de Ana, che da quel felice 2006 in cui vide la luce per la prima volta continua a riempire il grande catino veronese portando emozione, stupore ed entusiasmo grazie allo spettacolo che con la sua maestosa modernità strizza l’occhio ad una tradizione confortante all’occhio dell’esperto areniano, offrendo una perfetta aderenza al libretto e muovendo masse ed elementi scenici con intelligenza, sottolineando la personalità del singolo interprete, calato comunque in una visione collettiva dello spettacolo. Ritroviamo gli elementi caratteristici della messa in scena quali l’ormai celebre testa d’Angelo di Castel Sant’Angelo in Roma, le cui enormi braccia avvolgono il palco impugnando la spada, svelato man mano ma che resta una presenza imponente ed in un certo modo annunciatrice di fato ineluttabile, le tele di Cavaradossi che addobbano la chiesa di Sant’Andrea della Valle, e pochi altri ma curatissimi e fondamentali componenti che completano il piano scenico su cui tutto avviene. Punto focale ricordiamo il magnifico Te Deum con gerarchi ecclesiastici dai costumi sfarzosissimi sovrastanti il palco in una luce accecante; poi colpi di cannone, campane suonanti e tutto ciò che serve per una atmosfera degna del grande cinema da effetti speciali.
Con tempra di fuoco e sensibilità per i sentimenti in gioco dirige questo spettacolo maestoso Francesco Ivan Ciampa che cesella la partitura coordinando l’ottimo coro di Roberto Gabbiani, gli interpreti e l’orchestra in grado di trasmettere tanto il fuoco che arde nel duo innamorato quanto la rabbia che spinge l’antagonista spietato.
Sulla scia di tanta energia i due amanti sfortunati si offrono al pubblico con una grinta a tratti primitiva, premiando l’istinto dei personaggi quasi a prevalere sulla parola. Ecco che il Cavaradossi di Roberto Alagna è sanguigno, votato al sacrificio espresso vocalmente da uno squillo persistente, possente e carico di vibrazioni forti; similmente la ‘furia’ Tosca è una Aleksandra Kurzak istintiva, ma a tratti languida ed ingenua, oppure esuberante e volutamente eccessiva tanto nelle movenze quanto nel canto che si tramuta da rabbioso per le ingiustizie subite a sensuale e delicato col suo Mario.
Luca Salsi propone uno Scarpia quasi combattuto tra il suo essere malvagio e votato alla causa politica ed il sottostare al giogo della sensualità emanata dalla sua preda irraggiungibile. Tra istinti barbari e furia vendicativa il baritono esprime vigore nel suo canto e presenza scenica appropriata al terribile Barone. Davvero parte importante dello spettacolo, ciascuno col suo ruolo se pur breve, gli altri componenti della squadra canora e pertanto mostrano una padronanza scenica con evidente professionalità gli ottimi Spoletta di Carlo Bosi, lo Sciarrone di Nicolò Ceriani, il Carceriere Dario Giorgelè, così come molto bene l’ Angelotti di Giorgi Manoshvili ed il fantastico Sagrestano di Giulio Mastrototaro. Sicura e adorabile nei panni del pastorello Erika Zaha. Il Coro di voci bianche A.d'A.Mus. diretto da Elisabetta Zucca si aggiunge felicemente al lavoro del Coro areniano.
Anfiteatro particolarmente gremito da un pubblico in festa che ha tributato generosi applausi sia all’ingresso degli interpreti principali in scena, sia alla fine a tutti i protagonisti ed al Maestro Ciampa.