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LE CONTES D’ HOFFMANN , JACQUES OFFENBACH – TEATRO LE FENICE DI VENEZIA, VENERDI’ 24 NOVEMBRE 2023

Inaugura nel migliore dei modi la stagione lirica del Teatro la Fenice di Venezia, con un capolavoro senza tempo ed una serata speciale alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Governatore del Veneto Luca Zaia, l' inno nazionale, una sala gremita di vip, fotografi e pubblico internazionale che ha potuto assistere ad uno spettacolo vario, ricco e costantemente in evoluzione.

Le contes d’Hoffmann è un’opera immane per gestazione, scrittura e conseguente realizzazione scenica e non è da tutti potersi permettere di rappresentarla con professionalità, mezzi ed interpreti degni che ne rendano giustizia. Oggi ne apprezziamo ciò che fu concepito dopo i noti rimaneggiamenti, addirittura enigmi se non misteri di gestazione ed aggiunte alla morte prematura del compositore, su cui persino l’origine del cognome pone delle incognite, ed un nome che da Jacob divenne Jacques alla francese. Compositore notoriamente considerato un re Mida delle operette ma che voleva aggiungere al suo catalogo lavori più impegnativi contenutisticamente e che potessero annoverarlo anche tra gli artisti artefici di grandi opere serie della Terza repubblica francese. ‘Le contes’ è il più noto tra gli ‘esperimenti’ seri ed il più apprezzato che sia arrivato giustamente fino a noi. Tanti gli aneddoti legati tanto alla composizione quanto alle recite stesse di questo capolavoro, che porta con sé una sorta di magica aurea rendendo ancora più affascinante e ponendo aspettative ampie su quanto si vede in scena. Il mondo del poeta Hoffmann, che ci perdonerete se consideriamo ingenuo e sfortunato, si circonda di momenti di vita vera ed episodi di fantasia ed immaginazione, con scene di brio puro immediatamente rotte da dramma e magia quasi occulta. La presenza delle donne che lo deludono sistematicamente per loro stessa natura, del diavolo che costantemente imperversa sullo sfondo e non solo, ma anche la sua arte, spesso dimenticata e rievocata dalla Musa a mo’ di Grillo parlante. Tanto, tantissimo su cui lavorare per indagare sull’animo di un poeta che è anche un uomo – tipo dell’epoca ma in realtà di sempre, su cui il regista Damiano Michieletto studia, elabora e concepisce di conseguenza uno degli spettacoli più accattivanti degli ultimi tempi e cui il pubblico australiano, inglese e francese avrà l’occasione di assistere grazie alla collaborazione con i teatri Opera Australia, Royal Opera House Covent Garden Foundation, Opera National de Lyon.

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IL PARLATORE ETERNO, AMILCARE PONCHIELLI; IL TABARRO, GIACOMO PUCCINI – TEATRO FILARMONICO DI VERONA, REPLICA DI MERCOLEDI’ 22 NOVEMBRE 2023

Dopo l’esperimento andato in ‘onda’ in streaming nel 2021 causa pandemia, torna in scena a Verona con pubblico in sala l’inedito dittico, che vede due titoli diametralmente opposti come il divertente 'Parlatore eterno' di Ponchielli ed il drammatico 'Tabarro' di Puccini.

Come scrivemmo allora si tratta certamente di una accoppiata insolita, perché vengono affiancati uno scherzo comico,  l’esperimento di Ponchielli, ed una delle opere del Trittico pucciniano, che si discosta decisamente dai temi, le atmosfere e la musica del primo pezzo.

Ricordiamo che Puccini fu allievo di Ponchielli al conservatorio di Milano e ciò ci fa pensare ad una sorta di passaggio di ruolo in questo dittico, con il Maestro che si rivolge ad un passato stilistico in via di estinzione, mentre l’allievo è avviato verso un futuro musicale fatto di intuizioni sonore che avrebbero conosciuto le generazioni successive, con una modernità che ancora oggi ci stupisce ed affascina.

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CONCERTO DI TEODOR CURRENTZIS E UTOPIA ORCHESTRA - TEATRO GRANDE DI BRESCIA 20 NOVEMBRE 2023

Utopia è una nuova orchestra  internazionale fondata dal direttore Teodor Currentzis per riunire i migliori musicisti provenienti da tutto il mondo.  Nelle intenzioni del suo fondatore si tratta quindi di un tentativo idealistico di trovare un approccio alla creazione musicale che permetta di raggiungere l'essenza interiore di un testo musicale.

Tutto nasce nelle intenzioni, dalla volontà dei musicisti di dedicarsi ad un serio lavoro di preparazione e di ricerca per raggiungere  quella padronanza musicale che dia la possibilità di raggiungere obiettivi artistici visionari. Non è quindi, secondo il suo fondatore,  un'orchestra nel senso convenzionale del termine, ma piuttosto una speciale comunità creativa, una squadra di persone che la pensano allo stesso modo, con un'ideologia musicale condivisa, unendosi per creare senza compromessi e  per trovare il suono migliore possibile. E in effetti sembra che il risultato sia stato raggiunto poiché il concerto ascoltato a Brescia, rimarrà per molto tempo vivo nei nostri ricordi per la stupefacente qualità artistica raggiunta. Currentzis, fin dagli esordi nella lontana Perm in Siberia si è sempre distinto  per l’audacia interpretativa, la ricerca di una tensione artistica sempre altissima, l’approccio anticonvenzionale e il carisma magnetico. Con queste premesse, il concerto del 20 novembre al Teatro Grande di Brescia, prima tappa italiana di una mini tournée di due sole serate, la seconda delle quali prevista a Roma si è rivelata un'occasione imperdibile per moltissimi. Programma perfetto quindi, con in locandina il Concerto per violino di Brahms - solista Barnabás Kelemen – e la Quinta Sinfonia di Čajkovskij. 

Il violinista ungherese Kelemen si distingue per la sua non necessità di ostentare inutili eccessi virtuosistici.  La sua perfetta intonazione e la sua sorprendente tecnica  fanno sì che il concerto di Brahms fluisca come dovrebbe sempre essere: tecnica perfetta e intonazione purissima esibiti in una sfacciata naturalezza esecutiva. Ascoltare la stupefacente intonazione nei passaggi sulle doppie corde, il suo suono enfatico che esalta la danza nel finale, o la sua imponente cadenza del primo movimento sono sufficienti per parlare di esecuzione memorabile. L’Orchestra Utopia  accompagna la straordinaria interpretazione di Kalaman in maniera altrettanto impressionante: ricorderemo a lungo l'introduzione dei  fiati all'adagio e la meravigliosa interazione tra solista e orchestra nell’ultimo movimento. Curretniz si fa notare per il suo gesto totalmente anticonvenzionale, atletico soprattutto sulle gambe. L’ assenza di podio e il continuo scambio di sguardi, quasi uno sfiorarsi di corpi tra il solista e le prime parti dell'orchestra, costruiscono una unità di intenti di suono incredibile, un’ onda che ti travolge e atterra. Con il Capriccio n.1 di Paganini, concesso come bis, Kalaman suggella una serata memorabile prima di sedersi come primo violino per la sinfonia di Tchaikovsky.

Inutile dire quindi che con la sinfonia n.5  si sia toccato l’empireo. Il maestro greco opta per una lettura appassionata e di forte impatto, di inusitata potenza espressiva, contrassegnata da un fluido slancio melodico e da sonorità luminose sostenute da un'orchestra composta da più di 100 elementi (16 solo i violini primi). Nel primo movimento, il livido e misterioso Andante trapassa con naturalezza nelle marzialità e nella dolcezza  dell’Allegro con anima. Il successivo Andante cantabile con alcuna licenza sorge in un pianissimo quasi impercettibile per poi svilupparsi in una nobile e desolata pacatezza, ravvivata da una penetrante intensità drammatica. Il terzo movimento, risuona come un valzer incredibilmente leggero e spensierato, elegantissimo nel suono degli archi ma, al contempo, venato di una malinconia che traspare dal suono dell’ orchestra quasi a toccarla con mano. La sinfonia si chiude in una atletica prova di tenuta e coesione con l’enfasi rilucente, trionfale e perentoria  in cui una tranquilla rassegnazione muta via via in una grandiosa, prorompente conclusione.

Currentzis ha concluso la serata regalando al  pubblico il celeberrimo “Pas de deux” dallo Schiaccianoci rivolgendo un breve discorso  introduttivo in inglese dove ha voluto spiegare come nel mondo spesso questo brano venga associata ad atmosfere natalizie, ma che a livello più intimo possiede una sua straordinaria intensità lirica. Applausi infiniti al termine  per una Utopia musicale sicuramente in questo caso realizzata. 

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A. BOITO - MEFISTOFELE - TEATRO LIRICO DI CAGLIARI - 18 NOVEMBRE 2023



Dopo 62 anni, il fischio truce di Mefistofele è tornato a risuonare a Cagliari in un nuovo allestimento al Teatro Lirico.

Il lavoro di Boito, la cui vita è dal suo debutto travagliata di critiche non sempre del tutto giustificate secondo cui, nelle migliori delle ipotesi, questi quattro atti con prologo ed epilogo sarebbero il macerato frutto, ipertrofico musicalmente e letterario, di una specie di italico Wagner dei poveri. Quindi perchè allora, quest'opera continua ad avere una sua pur non frequente presenza nei cartelloni ed è ogni volta apprezzata dal pubblico? Sicuramente per l’enorme teatralità del libretto, il gran numero di brani celebri,  o perché, invece, alla fine, libera da palesi compiacimenti ed enfatiche ridondanze, la partitura espone soprattutto una sua validità melodica evidente, ad esempio, nel felicissimo Prologo. Rimane il fatto che, anche a Cagliari fu trionfo di pubblico, proprio perché con un allestimento didascalico e senza troppe pippe mentali, si riesce a digerire l’operona del Boito e a rimanere a bocca aperta quando l’ultima nota dell’ “Ave” finale del coro mistico che chiude l’opera, trascina il pubblico in un uragano di applausi. A Cagliari è stata proposta in un nuovo, maestoso allestimento firmato per regia, scene e video dallo spagnolo Juan Guillermo Nova, che con sapiente capacità ha saputo trascinare il pubblico nei vari “luoghi” in cui il complicatissimo libretto di Boito, trae da Goethe la favola di Faust. Nova riesce a risolvere i complicatissimi cambi scena e le illusioni fantastiche dei vari Paradisi, Walpurga, sabba classico e sabba romantico, con la maestria di un gusto teatrale antico ma piacevolmente intriso di grande impatto scenico. I costumi sono di Cristina Aceti e le apprezzate coreografie di Michele Cosentino.

Dirigere una partitura così gigantesca e di così spudorato edonismo orchestrale e vocale (per non dire del lessico), felicemente controllando e fondendo le folli linee corali ed esaltando gli accenti ritmici rimanendo in una lettura improntata alla tradizione esecutiva, è un risultato senz’altro ottimo, ben raggiunto dal maestro Lü Jia a capo della disciplinata orchestra e delle masse corali del teatro preparate da Giovanni Andreoli (Francesco Marceddu per le voci bianche).

Per i protagonisti la prova è ardua: la parte di Mefistofele è molto impegnativa, faticosa ma di grande soddisfazione. Prova superata per il basso sloveno Peter Martinčič: agile, insinuante, bizzarro quanto basta. Del suo Mefistofele ha fatto vocalmente e scenicamente una creazione impeccabile. Ottima sorpresa è stata la prova di Marta Mari, convincente nel commosso canto di Margherita. Karine Babajanyan nelle acutissime asperità della seduttrice Elena di Troia ne esce a testa alta anche se a fatica. Faust era Antonello Palombi, bravo come al solito, ma forse un po’ monocromo nel canto. Corretti negli altri ruoli Maria Cristina Bellantuono (Marta), Guadalupe Barrientos (Pantalis), Fabio Serani (Wagner).

Il pubblico che ha riempito la grande sala del Lirico cagliaritano ha apprezzato ampiamente lo spettacolo con numerose chiamate al proscenio per tutti. 

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DONIZETTI OPERA 2023- IL DILUVIO UNIVERSALE- 17 NOVEMBRE 2023 - TEATRO DONIZETTI BERGAMO

Inaugurazione del Donizetti Festival 2023 con la rappresentazione della rarissima azione tragico sacra “IL Diluvio Universale” nella Edizione critica della versione di Napoli a cura di Edoardo Cavalli.

Opera composta per la stagione di Quaresima, (sorta di stagione lirica “sui generis”) dove si davano opere che, sulla carta, affrontavano soggetti provenienti dall’Antico Testamento, adatti per il periodo sacro pasquale ma che, in realtà, obbedivano alle esigenze teatrali e al desiderio di mondanità che era presente nel pubblico partenopeo.

L’attività napoletana di Donizetti, durante gli anni che vanno fino al primo grande successo milanese della Bolena nel 1830, ribadisce un tipo di formazione stilistica che per qualche tempo impedisce a Donizetti di essere bene accetto non solo a Milano ma anche a Bergamo. Numericamente l’attività operistica donizettiana per i teatri di Napoli si concretizza in 7 opere serie, 6 opere buffe e 3 semiserie cui bisogna aggiungere una azione tragico sacra: il Diluvio Universale appunto. 

Accolta in modo non molto convinto la sera della prima, anche a causa di un cast non particolarmente preparato (la Primadonna Luigia Boccabadati ebbe un vuoto di memoria, entrando in anticipo di almeno 20 battute nella stretta del Finale I, oltre a numerosi problemi di movimentazione scenica che scatenarono l'ilarità del pubblico). Il “Diluvio Universale” è un lavoro scomparso dal repertorio, qui proposto nella primissima versione napoletana del 1830, che poi Donizetti rivedrà per il Carlo Felice di Genova ampliando la parte di Ada e aggiungendo un duetto con Cadmo. Rappresenta quindi un sicuro e fino ad ora poco  studiato snodo del teatro musicale: inizialmente c'è il Rossini del Mosé in Egitto; davanti, si sviluppano quegli intrecci armonici e corali donizettiani che porteranno al Nabucco di Verdi.

La regia dello spettacolo, con le proiezioni video e la “moderna Arca” volante, è stata realizzata dai Masbedo (Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni), da Mariano Furlani, dallo studio 2050+, insistendo sulla ossessione del presente attuale: si festeggia allegramente nella lasciva città di Sennàar, mentre fuori a breve il mondo verrà distrutto. Bisogna cambiare stile di vita, l’acqua ci sommergerà, è l’avvertimento, inascoltato, di Noè. L'idea, interessante ed attuale, è ambientata ai nostri giorni ma lo sviluppo nel corso della serata non decolla, ripiegandosi su se stesso e finendo per ingessarsi in una tradizionale messa in scena con coro e cantanti praticamente fermi al proscenio. Anche i video, curatissimi e originali, e la gestione dei figuranti, se inizialmente appaiono interessanti, nel corso dello sviluppo dell'azione, lasciano un po’ il tempo che trovano, non interagendo appunto con i personaggi. 

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LUISA MILLER, GIUSEPPE VERDI - TEATRO GRANDE DI BRESCIA, DOMENICA 5 NOVEMBRE 2023

Puro trionfo per un talento autoctono, questa Luisa Miller al Teatro Grande. Nell’impervio ruolo del titolo, il giovane soprano bresciano Alessia Panza - classe 1998 - affronta l’impervia scrittura dedicata alla protagonista con tutto lo spessore vocale e interpretativo di cui necessita. Una scommessa vinta e una promessa per il futuro, con le colorature cristalline dell’atto primo (“Lo vidi e ‘l primo palpito”) e lo straordinario lirismo spinto e drammatico nel secondo (“Tu puniscimi, o Signore”), forte d’un timbro caldo di naturale bellezza e fascinosa vocalità di pasta duttile e corposa. Un’artista da tener d’occhio negli anni a venire, con un mezzo di per sé prezioso che con un fraseggio già assai raffinato e consapevole non potrà che regalarci altre grandi interpretazioni in ruoli verdiani e non.

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MANON LESCAUT, G. PUCCINI – TEATRO VERDI DI TRIESTE, MERCOLEDÌ 8 NOVEMBRE 2023

Dopo lo slittamento iniziale dovuto allo sciopero delle maestranze per rinnovo del contratto nazionale, è andata in scena presso il Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste Manon Lescaut. La serata di gala inaugurale è stata posticipata e ripresa il giorno 8 novembre, anche se in una versione che è apparsa un po’ dimessa per quantità di pubblico presente anche se, ovviamente, non sono mancate le pellicce e i lustrini di rito.

Terza opera del compositore toscano, appena approdò nei teatri europei Manon divise la critica dell’epoca, ma alcuni, su tutti l’inglese George Bernard Shaw, riuscirono a capire come Giacomo Puccini fosse riuscito a raccogliere l’eredità di Verdi - e tutto il suo bagaglio di italianità - e ampliarla attraverso l’uso di quel sinfonismo ricco di leitmotiv proprio dell’area germanica, o per meglio dire, di Wagner.

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DON CARLO - GIUSEPPE VERDI, TEATRO COMUNALE PAVAROTTI FRENI DI MODENA, DOMENICA 5 NOVEMBRE 2023

‘Versione Milano’
Opera in quattro atti su libretto di Achille De Lauzières e Angelo Zanardini tratto dall’omonima tragedia di Friedrich Schiller

Nasce da Modena, in collaborazione con i teatri di Piacenza, Reggio Emilia e Rimini, lo spettacolo che riporta alla luce e rinfresca l’allestimento del 2012 che ci preparava al bicentenario dalla nascita del suo compositore. Allora fu portata in scena la versione modenese in cinque atti, giustamente giocando in casa, ma si è ritenuto opportuno variare in questa occasione e portare in scena la versione in quattro atti ‘Milano’.

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AMLETO, FRANCO FACCIO - TEATRO FILARMONICO DI VERONA, REPLICA DI 29 OTTOBRE 2023

“Ma bisogna pur dire che ora, riandando nella mente l’Amleto compiuto, mi pare di rinvenirvi l’idea di quel tale melodramma così fatto, presentito, sognato e invocato dall’arte e un pochino anche dal pubblico”. Con queste parole il solerte Arrigo Boito, sempre alla ricerca della nuova scoperta melodrammatica che scuotesse le acque rese stagnanti dalla presenza preponderante dell’anziano Verdi, in attesa del proprio Mefistofele, proclamava l’importanza dell’Amleto di Franco Faccio  andato in scena a Genova nel 1865. Faccio non era uno sconosciuto: solo due anni prima e questa volta alla Scala, era andato in scena con buon successo “I profughi fiamminghi” su libretto di Emilio Praga e Verdi l’aveva pure apprezzato, non si sa se più per scherno o per verità. Aveva tuttavia messo in guardia il giovane compositore veronese dal troppo smarcato impegno che non corrispondeva ad un autentico rinnovamento dall’interno. Impegno di un'apertura verso un tipo di opera che era ancora il "grand-opéra” meyerbeeriano  filtrato dall’esperienza verdiana con qualche tocco orchestrale “alla Wagner” prima maniera e con un uso abbastanza insistito del declamato nel canto. In Faccio, se di influenza wagneriana si può parlare, questa appare limitata ad un più esteso utilizzo dell’armonia cromatica, quasi maniacale, ma non nella drammaturgia e nemmeno nella concezione dei Leitmotiv. L’Amleto si può dunque considerare un’opera di transizione che cerca di provocare una cesura con la tradizione operistica precedente, pur rimanendo debitrice però, ancora di  innegabili manierismi. Nonostante le inclinazioni wagneriane di Faccio, questa dell’Amleto è musica che rimane prettamente “italiana”, con arie, duetti e cori tradizionalissimi. Alcuni passaggi potrebbero addirittura essere usciti dalla penna dello stesso vituperato (per Boito e Faccio) Verdi, soprattutto la marcia funebre di Ofelia, che è assolutamente il punto più memorabile e bello dell'intera partitura.La ripresa dell’Amleto alla Scala nel 1871  ebbe esito catastrofico, in parte per la mediocre esecuzione, togliendo questo interessante ma troppo ambizioso compositore dall’agone operistico  e lasciandolo a quello di direttore d’orchestra dove raggiunse risultati eccelsi.Riscoperta la partitura e in parte revisionata tra le due (uniche) versioni, Anthony Barrese dell'Opera Southwest (Albuquerque) ha realizzato un'edizione esecutiva dal manoscritto autografo e da una partitura per canto e pianoforte, edizione successivamente utilizzata dal Festival di Bregenz nel 2016 per la rinascita europea dell'opera di Faccio come parte delle celebrazioni per i  400 anni di Shakespeare. La Fondazione Arena di Verona decise di mettere in scena l’Opera nella città del compositore nel nefasto anno della pandemia. Dopo vari rinvii e cambi di cast anche all’ultimo momento, Amleto è finalmente andato in scena sulle tavole del Teatro Filarmonico con un esito molto felice.

Il merito principale va ovviamente alla sterminata compagnia di canto che si è dovuta trovare di fronte uno spartito ed un’opera senza una tradizione esecutiva a cui appoggiarsi, studiando e assimilando una musica che probabilmente (anzi sicuramente) non entrerà mai in repertorio.

Finalmente abbiamo udito “Amleto con l’Amleto”, perché la voce di Angelo Villari nel ruolo del titolo è pressoché perfetta. Proiezione stupefacente, tenuta impeccabile per tutte le tre ore dello spettacolo nel quale è quasi sempre presente in scena, nessuna difficoltà nei pericolosissimi passaggi di registro che, quasi a trabocchetto, Faccio pone praticamente ogni due per tre. Aiutato da una regia non particolarmente esigente, Villari si concentra esclusivamente a tornire il declamato della sua parte in maniera veramente esemplare, portando a termine la recita in maniera convincente dalla prima all’ultima nota.

Suo perfetto contraltare è stato il Claudio di Damiano Salerno, anch’egli quasi sempre in scena e con una parte che insiste sul canto di conversazione e sulla parte alta del rigo baritonale, raggiungendo il culmine nel “O padre nostro ~ che sei nel cielo” cantato con maestria encomiabile nel rendere tinta e suggestione.

La Gertrude di Marta Torbidoni si conferma cantante di altissima qualità, non solo dal punto di vista vocale, perché è  inappuntabile nella sgraziata sua parte scritta da Faccio, tutta intessuta di salti di ottava e accenti al limite del verismo. Ma anche per una interpretazione veramente credibile. La sua non facile aria “Ah che alfine all'empio scherno” al terzo atto riceve giustamente applausi convinti.

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PELLÉAS ET MÉLISANDE, C. DEBUSSY – VICENZA OPERA FESTIVAL AL TEATRO OLIMPICO, 26 OTTOBRE 2023

Siamo arrivati all’edizione 2023 del Vicenza Opera Festival, fortemente voluto nella città berica dal suo Direttore artistico Ivan Fischer, proprio perché come detto nelle passate edizioni, si svolge in quello che con nostro grande orgoglio egli definisce uno dei teatri più belli al mondo. Organizzata dal team di Fischer, la Ivan Fischer Opera Company, quest’anno è andata in scena la tragedia Pelléas et Mélisande,  raggiungendo, come l’anno scorso per The turn of the Screw, anche quel pubblico un po' più ricercato che si reca maggiormente di buon grado a teatro se non sono proposte le solite opere di repertorio standard. Il programma del breve Festival ha previsto 3 recite dell'opera ed un concerto sinfonico, che hanno registrato alto gradimento come per le edizioni precedenti. Segno che Vicenza è un palcoscenico molto vivo e che il pubblico locale o in visita ha fame di musica, bellezza, arte e che quando si organizzano eventi interessanti risponde sempre con fervore.

Il supervisore dello spettacolo è lo stesso Fischer, anche in veste di regista, ma coadiuvato dalla sua squadra di collaboratori che comprende alla regia stessa Marco Gandini,  Andrea Tocchio per le scene, Anna Biagiotti per i costumi e per le luci Tamás Bányai.

Pelléas et Mélisande andò in scena nel 1902 dopo anni ed anni di lunghissima gestazione e si pone su di un piano completamente diverso rispetto a quanto ascoltato nel secolo precedente; fu definita rivoluzionaria per stile e contenuti, priva forse di quel ‘languore’ trasognante cui il pubblico era stato abituato.

Utilizzando tutto lo spazio a disposizione dell’ Olimpico viene occupata anche la cavea solitamente  destinata all’orchestra, cercando di ricostruire gli ambienti immersi nel verde, ora foresta, ora parco del castello, ecc., in cui si possono vedere accennati anche gli altri luoghi in cui agiscono i fratelli Pélleas e Golaud e tutti gli altri. Un sistema composto da piattaforme mobili fa sì che vengono innalzate man mano per creare quanto occorre in mezzo alla scena. I professori della Budapest Festival Orchestra son immersi e mimetizzati in tutta questa ambientazione, quasi a concepire una musica soave che prenda vita dagli eventi stessi che si susseguono.  Problemino del teatro Olimpico è riuscire a cogliere ogni volta l'insieme da tutte le angolazioni,  ma quest'anno siamo stati fortunati riuscendo ad avere una visuale abbastanza buona che permettesse di notare tutti questi dettagli.

Le voci, inoltre, per quanto splendidamente enfatizzate dall'acustica ampia, purtroppo vengono inghiottite dalle vie di Tebe della scenografia scamozziana quando gli interpreti si girano leggermente, non potendo chiaramente rimbalzare su un fondo piatto.

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LA BOHÈME, GIACOMO PUCCINI – TEATRO VERDI DI PADOVA, RECITA DI DOMENICA 22 OTTOBRE 2023

In previsione dell’anniversario della scomparsa di Giacomo Puccini che sarà ricordata nel 2024 ormai prossimo, molti teatri hanno doverosamente inserito nei propri cartelloni uno o più titoli del prestigioso catalogo pucciniano ed anche il Teatro Verdi di Padova omaggia il lucchese con la più classica delle opere ed anche tra le più amate dal pubblico, ossia una Bohème giovane, garbata e colorata.

La regia è affidata a  Bepi Morassi che si affida alle scene di Fabio Carpene per concretizzare questo allestimento fresco, frizzante e strettamente funzionale ai vari quadri rappresentati. Non è la prima volta in verità che assistiamo ad una sorta di scatola/impalcatura dove si svolge la storia raccontata e che di volta in volta svela con piccole suggestioni gli episodi che si succedono. Qui è una impalcatura agevole, che si rende funzionale con le luci, i diversi accorgimenti aggiunti all'occorrenza, la scalinata esterna che collega i vari ambienti e che torna utile per i movimenti dei cantanti. Insomma una scenografia non originalissima ma che rende lo spettacolo fruibile e scorrevole. Dal punto di vista drammaturgico sono molto bravi gli interpreti a non confondere gioventù con svogliatezza o inedia; tutti gli interpreti mostrano bene quanta sia la voglia di vivere e di divertirsi, ma sono anche tristemente consapevoli delle difficili condizioni in cui versano tutte le loro vite.

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I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA – GIUSEPPE VERDI, TEATRO REGIO DI PARMA, 15 OTTOBRE 2023

È piuttosto rara la possibilità di ascoltare dal vivo I Lombardi alla Prima Crociata, titolo di un giovane Verdi motivato dal successo del precedente Nabucco, che riuscì a replicare rievocando diverse intuizioni musicali dal più celebre titolo e sviluppando una nuova opera nel solco dello stesso filone patriottico-risorgimentale. Se il libretto di Temistocle Solera non è certo tra i più ispirati - imperniato su una trama quantomai contorta tratta dal poema epico di Tommaso Grossi -diverse sono le soluzioni innovative che fanno di questa partitura uno spazio sperimentale di notevole interesse, con sonorità di grande potenza e ardite soluzioni inedite in contesto operistico (pensiamo all’assolo di violino dal sapore paganiniano che apre l’atto terzo - magistralmente eseguito da Mihaela Costea - o al ruolo preponderante affidato ai numerosi concertati). Stupisce insomma che certa critica additi i Lombardi come lavoro minore e musicalmente volgare, quando in realtà ricco di spunti certamente acerbi ma altrettanto affascinanti.

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I DUE FOSCARI, GIUSEPPE VERDI – TEATRO LA FENICE DI VENEZIA, RECITA DI SABATO 14 OTTOBRE 2023

Dopo diversi decenni torna alla Fenice di Venezia il titolo verdiano che vede svolgere le sue vicende proprio nel capoluogo veneto, in una produzione in collaborazione col Maggio Musicale Fiorentino e proposta in 5 recite, l’ultima delle quali è quella a cui ci riferiamo in questo articolo. Venezia è città di grande fascino e mistero ed è naturale che molti tra poeti, artisti e naturalmente musicisti abbiano prestato la propria arte alla celebrazione della sua bellezza e della storia. Così Lord Byron che vi trascorse ben tre anni, dovette trovare particolarmente interessante per il suo dramma la storia del longevo doge  Francesco Foscari e le sfortunate vicende relative al figlio Jacopo.

Sembra quasi percepire l’animo particolarissimo del poeta inglese nel libretto di Francesco Maria Piave, con le sue tinte fosche ma intense a cui il regista Grischa Asagaroff ha attinto per concepire questo spettacolo. Siamo nel quindicesimo secolo e mette in scena una garbata rappresentazione in linea con l’epoca, avvalendosi delle scene e dei costumi di Luigi Perego che con i suoi chiaro scuri ci proietta in atmosfere sospese e pregne di pathos.

Niente di particolarmente spettacolare o innovativo comunque: semplicemente troneggia al centro del palco una torre girevole che richiama il monumento dedicato al Doge Foscari nella basilica dei Frari, che roteando appunto su se stessa crea di volta in volta le diverse ambientazioni, con qualche aggiunta significativa intorno. Lo spettacolo è tutto sommato scorrevole e gli interpreti più che altro stanno innanzi o intorno a questo imponente elemento scenico cercando di aggiungere del proprio vissuto ai diversi personaggi. L’insieme è comunque pertinente e di buon gusto. Anche le coreografie di Cristiano Colangelo sono delicate e piacevoli.

Una particolare energia ha pervaso tutto lo spettacolo, intesa come espressione di valore, di orgoglio, di resistenza tanto nel personaggio del Doge quanto in suo figlio, nella sposa caparbia e volitiva, e persino nei ruoli di contorno. Ne consegue che già con l’orchestra condotta da Sebastiano Rolli si è avvertita una sensazione di possanza, di orgogliosa manifestazione musicale, tradotta in una particolare veemenza nei suoni, dai ritmi interessanti e certo adatti agli accadimenti, ma che hanno portato gli interpreti a forzare spesso sui volumi e talvolta con risultati perfettibili. 

Luca Salsi si è trasformato nel Doge personificandolo al meglio delle sue possibilità con rigore, espressività e sfruttando le caratteristiche della voce austera di suo, ampia e profonda quando serve. Il figlio Jacopo è stato un Francesco Meli che probabilmente ha accusato un po’ la stanchezza dell’ultima recita, dando comunque tutto se stesso al personaggio dal destino non semplice, mostrando ancora una volta il bel timbro vocale che tutti conosciamo, se pur con qualche passaggio non perfetto. Anastasia Bartoli possiede certamente uno strumento canoro poderoso e ricco su tutta la sua tessitura; probabile che l’ energia dell’orchestra l’abbia spinta a cercare un suono più corposo che variegato, donando anche al suo personaggio un carattere parecchio vigoroso vocalmente.

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IL TROVATORE, GIUSEPPE VERDI - TEATRO REGIO DI PARMA, RECITA DEL 5 OTTOBRE 2023

Terzo titolo in cartellone al XXIII Festival Verdi, Il Trovatore va in scena al Regio in una nuova produzione che segna il debutto parmigiano di Davide Livermore. Contestato alla Prima da un pubblico notoriamente conservatore e accolto piuttosto tiepidamente anche in questa replica, l’allestimento proposto ha solo in apparenza il taglio provocatorio del Regietheater, ma l’approccio drammaturgico nel narrare la vicenda non si scosta tutto sommato dal solco della tradizione. Il regista torinese- in collaborazione con Carlo Sciaccaluga e dall’ormai rodato team composto da Giò Forma per le scene e D-Wok per le video proiezioni, con costumi di Anna Verde e luci di Antonio Castro, ripropone la sua consueta e riconoscibile cifra stilistica fatta di scenari distopici e cupi, trasposti in un’indefinita epoca post-apocalittica rievocata anche nei suoi ben noti Attila e Macbeth scaligeri. Al Quattrocento aragonese si sostituisce una periferia di freddo cemento e strutture metalliche, dove regna il degrado in una sorta di violenta guerra civile tra poli opposti della società: gli emarginati (rappresentati da circensi in luogo della comunità zingara) e i potenti (il cui simbolo sono i palazzi di cristallo sullo sfondo, che andranno a fuoco nel finale). Salvo pochi elementi strutturali in scena, il tutto prende vita attraverso il consueto ledwall che propone sul fondale una sequenza di animazioni senza soluzione di continuità, a tratti evocativa e a tratti illustrativa scadendo nel didascalico: suggestiva per esempio è l’insistente pioggia di cenere come monito costante della pira, più banali invece la luna quando viene nominata nel libretto, il fondale rosso quando si cita il sangue, una sostanza liquida quando si rievoca il veleno bevuto da Leonora. Come anticipato, aldilà della trasposizione più o meno apprezzabile a sensibilità personale, lo spettacolo ha il pregio di mantenere sempre alta l’attenzione dello spettatore, in una resa nel suo complesso dinamica e suggestiva che scorre fluida e coerente con se stessa. Unica eccezione la scelta che vede l’esecuzione di “Tu vedrai che amore in terra” allestita su un palcoscenico metateatrale con lampadari che calano improvvisamente dall’alto e specchi rivolti verso la sala semi-illuminata: che si tratti di una citazione o di una maldestra emulazione del Don Giovanni scaligero di Carsen, ci pare una soluzione isolata e gratuita che non va oltre ad un omaggio al melodramma in sé, che in questa regia nulla vale se non a distogliere il focus dalla tensione drammatica del momento.

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DIE ZAUBERFLÖTE, WOLFGANG AMADEUS MOZART – TEATRO PONCHIELLI DI CREMONA, RECITA DI DOMENICA 08 OTTOBRE 2023

‘Il flauto magico di Mozart’ ha per sua natura diremmo ‘mitica’ una sorta di aura magica che potenzialmente concede a registi e sceneggiatori di rimaneggiare il contenuto per adattarlo alle più svariate interpretazioni. D’altra parte spesso ci si affida al gusto dell’epoca o al momento storico in essere. Certo è che il mondo fiabesco cui si ispira il Singspiel di Mozart con le argute parole di Schikaneder ci porta sempre in una dimensione da sogno, che ci allontana per un po’ dal quotidiano e ci rimanda a qualcosa di misterioso grazie ai personaggi che l’opera stessa racconta. L’idea del regista Ivan Stefanutti in questo caso non intende assolutamente sconvolgere, e per fortuna aggiungiamo, il senso del libretto, anzi pur con una sua interpretazione, cerca di rendergli giustizia semplicemente cercando la magia raccontata nel mondo misterioso ed ampiamente celebrato dell’Oriente, con i profumi che possiamo immaginare e soprattutto i colori. L’atmosfera è soffusa su sfondi dai colori accesi e caldissimi, i costumi sono scintillanti ed anche se non possiamo definirla una imponente rappresentazione cinematografica, con il giusto quantitativo di elementi scenici ed una gestione drammaturgica intelligente, possiamo dire che il regista ha ottenuto il suo scopo.

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IL PAESE DEI CAMPANELLI – Carlo Lombardo, Virgilio Ranzato. Teatro Coccia di Novara, 1 Ottobre 2023

Quale migliore occasione del centenario dalla composizione, per riportare l’operetta alla ribalta con uno dei titoli più noti? Il Teatro Coccia di Novara - in collaborazione con il Festival della Valle d’Itria - ripropone dopo il debutto a Martina Franca “Il Paese dei Campanelli” di Carlo Lombardo e Virgilio Ranzato, in una produzione di altissima qualità in grado di dare nuovo rilievo a un genere oggi poco frequentato e ingenuamente considerato minore, suggestivo ibrido di prosa e teatro musicale.

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IL SETTEMBRE DELL’ACCADEMIA 2023 - CONCERTO DELLA DRESDNER PHILHARMONIE, VERONA 05 OTTOBRE 2023

Trionfale chiusura del XXXII Festival del "Settemre dell’Accademia" con uno strepitoso concerto della Dresdner Philharmonie nel nome di Mozart, Schumann e Čajkovskij, che ha visto sul podio il direttore polacco Krzysztof Urbanski.

Fondata nel 1870 su iniziativa di alcuni cittadini benemeriti, l'Orchestra Filarmonica di Dresda ha segnato da subito il panorama musicale della citta tedesca. Dal 1885 in poi iniziò la sua stagione concertistica in maniera regolare fino a quando nel 1923 l'orchestra assunse il nome attuale. Nei primi decenni, sul podio salirono con le loro opere compositori come Brahms, Čajkovskij, Dvořák e Strauss. Paul van Kempen lo trasformò in un ensemble di primo livello dal 1934 in poi e dopo di lui hanno lasciato il segno nomi leggendari come Kurt Masur (direttore onorario dal 1994), Marek Janowski, Rafael Frühbeck de Burgos e Michael Sanderling, tra gli altri. Insomma una delle orchestre sinfoniche più blasonate della storia europea.

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SETTEMBRE DELL’ACCADEMIA FILARMONICA DI VERONA - TERZO CONCERTO CON LA ROYAL PHILHARMONIC ORCHESTRA , SABATO 16 SETTEMBRE 2023

Davvero spettacolare la lista di eventi in programma al ‘Settembre dell’Accademia Filarmonica’ che anche quest’anno ospita orchestre di grande prestigio a livello internazionale, rendendo orgogliosa la città scaligera e confermando l’altissima qualità del festival arrivato alla sua trentaduesima edizione, e soprattutto rendendo felici coloro che hanno la fortuna di assistere ai concerti in calendario. È stata la volta della Royal Philharmonic Orchestra guidata dal suo direttore musicale Vasilij Petrenko con la meravigliosa Julia Fischer al violino, protagonista del secondo pezzo in programma.

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IL SETTEMBRE DELL'ACCADEMIA FILARMONICA DI VERONA - CONCERTO INAUGURALE

Apertura del trentaduesimo Fesitival Internazionale di Musica “il Settembre dell’Accademia” con un entusiasmante concerto dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta dal suo direttore musicale Juraj Valčuha assieme al pianista Stefano Bollani.

Concerto che ha visto nel programma il filo conduttore di un’ America che va da Dvořák con la sua Sinfonia n.9 in mi minore Op. 95 "Dal Nuovo Mondo" fino al “Red, da Color Field” della compositrice inglese ma naturalizzata americana  Anna Clyne, passando per la Rhapsody in blue di Gershwin e dall’ overture dell’opera Candide di Bernstein.

Si comincia con Candide, l’operetta tratta dal romanzo di Voltaire permette all'Orchestra e al suo direttore di “scaldare il motore” con la scoppiettante musica che riempie i 5 minuti del lavoro.

Musica che richiama Rossini nel colore e nel celebre crescendo con cui si chiude. Ma quella che potrebbe essere percepita come musica naif per la sua spontaneità comunicativa quanto per il suo emergere dai generi più popolari, nasconde in realtà una scrittura molto complessa da maneggiare e insidiosa. Perfetta nel gesto e  nella immediatezza ricettiva dell’Orchestra, la direzione di Valčuha.

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COSÌ FAN TUTTE, W. A. MOZART – FESTIVAL VICENZA IN LIRICA AL TEATRO OLIMPICO, SABATO 9 SETTEMBRE 2023.

Fa sempre molto piacere quando un Festival organizzato e promosso da giovani prende il largo con gli anni per guadagnarsi sempre più spazio nella città che lo ha visto nascere ed anche oltre. Siamo arrivati all’undicesima edizione di Vicenza in Lirica, un festival che parte dall’estate per concludersi felicemente in autunno con tanti eventi culminanti nell’opera che vede protagonisti i vincitori del Concorso Tullio Serafin, nello specifico quest’anno ‘Così fan tutte’ di Mozart, premiata da un sold out per la prima recita di sabato sera. Spiace solo per la concomitanza che ha coinvolto il concerto in Piazza dei Signori dedicato alla indimenticata Maria Callas, svoltosi sempre nella stessa serata. Speriamo che in futuro l’Amministrazione comunale sia più attenta a ‘spalmare’ su diverse date eventi così significativi che auspichiamo diventino ancora più frequenti. 

Interessante la chiave di lettura che il regista Cesare Scarton ha dato del libretto e che ci trova pienamente concordi, considerando i tempi in cui ci troviamo e come spesso finiscono i rapporti di coppia. Si evidenzia come in realtà i protagonisti vittime di una burla si trovino proiettati in una dimensione parallela che, forse senza neanche troppo stupore, svela quanto sin dall’inizio le due coppie fossero davvero male assortite e come i sentimenti celati nei confronti del partner dell’altro/a vengano irrimediabilmente alla luce quando messi alla prova. Nessun finale scoppiettante nei destini ormai stravolti: non si torna indietro né si prosegue per la nuova strada, forse per lo shock o per la vergogna: si prende atto e basta; la vita continua in altro modo.   

Frizzantissimo però è lo spettacolo che è fatto da giovani e ne esalta le caratteristiche fisiche ed attoriali, con una scelta di costumi, opera di Anna Benvenuti, che mettono in risalto i colori e le nuance che la giovinezza porta con sé, volutamente un po’ kitsch e scanzonati. 

Rispetto alla serata conclusiva del concorso Serafin cui abbiamo assistito, abbiamo notato un lavoro di approfondimento sulle voci in generale per tutti gli interpreti sul fraseggio, interpretazione e tecnica, che per qualcuno un po’ più acerbo ha portato a notevoli risultati. Le voci corrono sulla sala non enorme dell’Olimpico che raccoglie sonorità generose ed ampie. Spiccano le voci femminili, con una ottima Fiordiligi di Arianna Giuffrida, dalla voce voluminosa la cui personalità decisa  riesce a coniugare la gioia per sentimenti mai provati prima con un senso di smarrimento per aver tradito la sua natura precedente. Più scanzonata la Dorabella di Benedetta Mazzetto, anch’ella di incontenibile brio e presenza scenica sciolta grazie ad uno strumento vocale sicuro e duttile. Assolutamente fantastica Francesca Maria Cucuzza nel ruolo di Despina: scanzonata, padrona della scena, vocalmente sicura e generosa, una colonna dello spettacolo a nostro avviso. Matteo Torcaso è dal suo canto un perfetto Don Alfonso traffichino e beffardo, cinico a tratti, forte di una bella personalità in scena ed un canto appropriato al suo ruolo un po’ crudele. Ferrando e Guglielmo sono rispettivamente Haruo Kawakami e Said Gobechiya, in linea con lo spirito dello spettacolo sanno essere scanzonati quanto basta fino alla batosta emotiva che vanifica le loro convinzioni. Kawakami ci sembra migliorato su pronuncia e fraseggio, a fronte di un timbro setoso che sentiremmo ancora in altri ruoli;  Gobechiya ha una voce più ‘raccolta’ e comunque interessante, che siamo sicuri fiorirà col tempo e svilupperà tutte le sue potenzialità.

Altra protagonista l’ Orchestra dei Colli Morenici diretta da Marco Comin, coadiuvato da Fausto Di Benedetto al forte-piano. Il suono è limpido e brillante, gli interpreti sono accompagnati passo passo tra le scintillanti cromie e i giochi di ritmo di cui la partitura è pregna.  Forse un po’ sacrificata rispetto alla nostra postazione per la predominanza delle voci poste sul palco rispetto alla buca, ma si percepisce chiaramente il lavoro svolto, il connubio con il palco, la coesione tra gli elementi di tutto lo spettacolo.

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