Il Teatro La Fenice di Venezia ha accolto pochi giorni fa il ritorno di Riccardo Muti, figura legata alla storia recente del teatro da un vincolo affettivo e artistico specialissimo. Il maestro napoletano è salito nuovamente sul podio lagunare, guidando l'Orchestra giovanile Luigi Cherubini in un concerto straordinario dedicato a pagine fondamentali del repertorio classico firmate Ludwig van Beethoven e Wolfgang Amadeus Mozart.
L'appuntamento è stato un momento simbolico che ha riacceso la fiamma di una collaborazione iniziata oltre cinquant'anni fa, nell’estate del 1970. Dopo concerti memorabili, Muti fu protagonista dell’atto di altissimo valore simbolico del 14 dicembre 2003, quando diresse il concerto che sancì la riapertura del Teatro ricostruito. L’ultima apparizione, nel 2021, aveva già rinsaldato il legame con la Cherubini per celebrare i cinquant’anni dal suo debutto veneziano.
Il Teatro La Fenice di Venezia ha accolto pochi giorni fa il ritorno di Riccardo Muti, figura legata alla storia recente del teatro da un vincolo affettivo e artistico specialissimo. Il maestro napoletano è salito nuovamente sul podio lagunare, guidando l'Orchestra giovanile Luigi Cherubini in un concerto straordinario dedicato a pagine fondamentali del repertorio classico firmate Ludwig van Beethoven e Wolfgang Amadeus Mozart.
L'appuntamento è stato un momento simbolico che ha riacceso la fiamma di una collaborazione iniziata oltre cinquant'anni fa, nell’estate del 1970. Dopo concerti memorabili, Muti fu protagonista dell’atto di altissimo valore simbolico del 14 dicembre 2003, quando diresse il concerto che sancì la riapertura del Teatro ricostruito. L’ultima apparizione, nel 2021, aveva già rinsaldato il legame con la Cherubini per celebrare i cinquant’anni dal suo debutto veneziano.
Il programma ha costituito un omaggio alla grandezza classica, snodandosi tra il dramma tragico e l'apoteosi ritmica beethoveniana, con un’oasi di grazia mozartiana.
La serata si è aperta con l’Ouverture Coriolano, op. 62 di Beethoven. I tre sontuosi accordi iniziali hanno messo subito in chiaro quale fosse la chiave di lettura di Muti, che ha privilegiato - invero come di consueto - un suono sempre corposo, accompagnato da grande personalità (l’importanza delle pause!) e assoluto controllo dell’orchestra al netto qualche imprecisione degli archi. Il contrasto tra la furia marcata del tema iniziale e il respiro più supplice e lirico del tema in Mi-bemolle è risultato ben evidenziato dalla chiarezza timbrica dell’orchestra. Nel finale, Muti ha saputo far emergere con delicatezza l'implosione del materiale tematico, lasciando una traccia di destino tragico.
È seguito un momento di raffinata eleganza viennese con il Concerto per flauto n. 2 in re maggiore K. 314 di Mozart, affidato al solista Karl-Heinz Schütz, primo flauto dei Wiener Philarmoniker, che ha offerto una parentesi di grazia e leggerezza. Mozart compose l'opera a Mannheim tra la fine del 1777 e l'inizio del 1778 su commissione del ricco dilettante olandese Ferdinand Nikolaus De Jean, in realtà trascrivendo e revisionando il precedente Concerto per oboe in Do maggiore, trasportandolo in Re maggiore per le peculiarità tecniche del flauto. Nonostante il committente gli riconobbe solo metà del compenso pattuito, la partitura è ariosa e frizzante, con passaggi che richiamano lo stile dell'opera buffa (non a caso, il tema del Rondò finale fu riutilizzato nella celebre aria "Welche Wonne, welche Lust" de Il ratto dal serraglio). Dopo la prima frase dichiarativa dell’orchestra (debitamente ridotta), il flauto di Schütz è entrato con agilità e chiarezza. Colpivano la bellezza e la grandezza del suono: Schütz ha sfoggiato una tecnica assoluta ma non esteriorizzata, e mantenendo una linearità elegante che ha ben dialogato con la timbrica compatta dell’orchestra. Di grande effetto e impatto è stato il bis Pièce pour flûte seule di Jacques Ibert concesso dal solista.
Dopo l'intervallo, la Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 di Beethoven ha costituito il momento conclusivo e più ambizioso del programma. Composta tra il 1811 e il 1812, l'opera si distingue per una nuova e rivoluzionaria concezione del ritmo, un elemento che domina in ogni movimento e che valse alla sinfonia la definizione di "apoteosi della danza" da parte di Richard Wagner. Muti ha condotto con grande energia e tensione ritmica, privilegiando i contrasti dinamici, la scansione ritmica e l’equilibrio interno dei movimenti. Nel primo tempo (Poco sostenuto – Vivace) ha dato risalto alla costruzione articolare del tema, mentre nel celebre secondo movimento, l’Allegretto ha colpito l’incedere sommesso e funebre dell'ossessiva marcia iniziale e di come risultasse complementare e pur opposto al tema in maggiore. Il terzo movimento (Presto) è stato spinto con slancio, e il finale (Allegro con brio) ha chiuso con un’esplosione di vitalità, un trionfo ritmico che ha fatto risuonare le celebri parole di Wagner.
Muti, insolitamente poco loquace, nonostante le accese polemiche in corso e ben note ad appassionati e non ha concesso due classici bis del suo repertorio: la sinfonia da Nabucco, garibaldina e accolta trionfalmente dal pubblico, e quella di Norma in omaggio ai suoi giorni da studente a Venezia duranti i corsi di Franco Ferrara.
Spettatori festanti e in visibilio per il Maestro.
La recensione si riferisce al concerto di giovedì 9 ottobre 2025
FOTO MICHELE CROSERA
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