Apertura straordinaria per la Fondazione Arena di Verona con l’Aida di Giuseppe Verdi che compie 150 anni dalla sua prima rappresentazione ed il Maestro Riccardo Muti che appone la sua firma sulla rappresentazione inaugurale. Da profondo conoscitore del Maestro delle Roncole, costantemente votato allo scavo della partitura ed alla ricerca di ciò che l’autore chiede venga eseguito nelle sue composizioni, il Maestro ha sempre dichiarato di avere una particolare propensione per Verdi a cui ha dedicato e continua a dedicare tutto il suo impegno, coinvolgimento e passione, forse più di qualsiasi altro compositore.
Spettacolo proposto in forma di concerto, che se anche non offre le stesse emozioni di un allestimento completo, in questo caso ha permesso di creare un particolare feeling tra orchestra, cantanti e Direttore, così attento a tirar fuori da ciascuno l’anima del proprio personaggio, a catturarne lo spirito tanto quanto in uno spettacolo con movimenti scenici, costumi e quant’altro. Emozione pura ogni gesto, espressione, cadenza: tutto in funzione della parola, questo elemento tanto spesso bistrattato e dimenticato da chi cerca solo una prestazione vocale per esibire le proprie qualità timbriche. Le voci stesse sono esaltate da un intimismo che sottolinea qualità tecniche e duttilità che solo le grandi interpretazioni possono sfoggiare. Grazie al Maestro Muti le frasi, il loro significato, il loro accento, tutto concorre a dare valore alla vicenda ed ai suoi immortali personaggi. Così ottiene la stessa intensità interpretativa da ogni sezione dell’orchestra della Fondazione Arena. Si sente quanto lavoro c’è dietro ogni dettaglio, ogni suono mai esagerato ed accuratamente ricercato che diventa esso stesso parola assieme agli interpreti.
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SONIG TCHAKERIAN VIOLINO, ANDREA LUCCHESINI PIANOFORTE
ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO
Raggiunge il trentesimo compleanno il Festival Settimane Musicali al Teatro Olimpico di Vicenza e noi abbiamo scelto il concerto dell’11 giugno, in replica domenica 13, per godere di un altro degli appassionati appuntamenti musicali che questo Festival regala appunto da trenta anni a questa parte. Finalmente riapre la città e speriamo si possa tornare veramente ad una normalità che sembrava un miraggio fino a qualche mese fa e dunque pian piano torna un po' di leggerezza, nonché tanta voglia di ascoltare buona musica per pensare semplicemente a godersi una bella serata. Coraggiosissimi gli organizzatori a fissare un concerto proprio in concomitanza con la prima partita della Nazionale di calcio agli Europei, ma possiamo dire che il pubblico ha risposto con calore ed anche buona frequenza, considerando comunque le limitazioni di posti ancora vigenti per la pandemia, complice anche un clima favorevole e non ancora caldissimo.
L’Orchestra di Padova e del Veneto ha accompagnato, o meglio accolto tra le sue onde musicali, il pianista Andrea Lucchesini e la violinista e direttore artistico del Festival Sonig Tchakerian.
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TITOLO “Quando ti danno un premio la prima cosa da non fare è credere di meritarselo”
“Uomo di grandi intuizioni e intelligenza critica, custode di memorie con lo sguardo rivolto alla contemporaneità e al futuro, attento alla formazione di un nuovo pubblico e alla circolazione di compositori e giovani interpreti. Per restituirci un mondo dove la musica fa parte della vita quotidiana”: questa la motivazione con cui è stato assegnato a Michele Dall’Ongaro il Premio Pordenone Musica 2020. Una consegna che causa pandemia ha dovuto attendere un anno e rappresenterà un unicum (probabilmente il premio 2021 salterà), ma ha trovato il pubblico pordenonese più pronto che mai a voler tornare nel suo teatro per festeggiare questo momento.
Le celebrazioni, come di consueto ormai, sono iniziate già a partire dal pomeriggio con appuntamento in compagnia del Sovrintendente dell’Accademia di Santa Cecilia moderato da Maurizio Baglini, direttore musicale del Teatro Giuseppe Verdi di Pordenone.
Fin da subito Dall’Ongaro si dimostra intrattenitore esperto e capace di conquistare la simpatia del pubblico, esordendo con “Quando ti danno un premio la prima cosa da non fare è credere di meritarselo”: ma al contrario deve servire come incentivo a continuare a fare, e meglio, ciò per cui si è stati premiati. Durante quasi un’ora di incontro-lezione ha parlato a ruota libera della sua vita, di musica e di vita per la musica, riuscendo persino a trovare un trait d’union fra Lully e i Måneskin, dimostrandosi capace di saper strizzare l’occhio anche ai più giovani presenti in sala.
A concludere questo aperitivo è stata una piccola chicca regalata alla città che lo ha premiato: la prima assoluta di un nuovo movimento in appendice alla composizione Autodafè, cinque modi di andare alla forca, scritta dall’accademico nel 1989. La suite pianistica racconta i diversi punti di vista di cinque condannati a morte a cui si è aggiunto un sesto movimento, quello che ci presenta la prospettiva del carnefice - come ha detto lo stesso autore durante l’introduzione all’ascolto. Maurizio Baglini, dedicatario del nuovo brano, ne restituisce tutta l’estraneità.
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Curioso programma quello presentato nel concerto del 25 maggio scorso al Teatro Verdi di Padova nell’ambito della stagione concertistica dell’Orchestra di Padova e del Veneto, che ha visto accoppiati nella stessa serata la luminosità del Concerto n. 1 op. 11 di Chopin con quell’inno alla sublime Morte rappresentato dalla Sinfonia n.14 di Dmitri Shostakovich.
Felicissimi di ritrovare il pianista russo-lituano Lukas Geniusas, uno dei giovani talenti del pianoforte più apprezzati nel panorama del concertismo internazionale, guidato dalla bacchetta di Oleg Caetani.
Lo Chopin di Geniusas non delude certo, soprattutto sul piano tecnico. Di una tecnica ferrea e impeccabile, il pianista lituano fa notevole sfoggio nelle complessità dei due movimenti estremi, l'Allegro Maestoso iniziale, sciorinato con vertiginosa scorrevolezza, e il Rondò terminale, esposto con energia trascinante. Nella Romanza centrale, risulta forse fin troppo misurato, piuttosto avaro di rubati e cedevolezza e dunque poco indulgente ai mielosi sentimentalismi cari a Chopin. Resta il fatto che Geniusas lavora con suono sempre plastico, giostrato con la nonchalance di chi sa esattamente quanto osare senza mai fingere o scadere nel cattivo gusto. Anzi, l'articolazione appare sfacciatamente fresca, naturale nel dominio di colori e dinamiche, inconfondibile nella personalità dell'interprete.
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