Composto fra il 1884 e il 1886 (più di dieci anni dopo Aida), l’Otello rappresenta un punto di svolta non solo per Verdi ma anche per l’opera italiana: il compositore si distacca infatti dalla tradizione soprattutto per quanto riguarda la forma aperta dei suoi numeri musicali. Tuttavia è impensabile che un ultrasettantenne non rimanga fedele a se stesso come confermano ad esempio la cabaletta alla fine del secondo atto e il grande concertato del terzo, invero abbastanza tagliato – forse prendendo spunto dalla versione francese - nell’allestimento andato in scena al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.
Giulio Ciabatti ambienta la vicenda in una grande stanza blu incorniciata da grandi colonne al cui centro è disposta una pedana multifunzionale: una scena essenziale, molto tradizionale e, aggiungerei, rassicurante per il pubblico triestino. Al solito i movimenti sono curati e ben studiati, abbastanza vari e le dinamiche fra i personaggi riescono ad emergere, ma non sono sufficienti a colmare il vuoto fisico e soprattutto teatrale sul palcoscenico. Funzionali i costumi di Margherita Platè e calibrato il disegno luci di Fiammetta Baldiserri.
Tornato a Trieste dopo le vicende del 2007, ci pensa Daniel Oren dall’alto del podio a colmare il vuoto teatrale. Il direttore israeliano firma una direzione caratterizzata da un buon passo e senso drammatico. Sì, l’accompagnamento ai cantanti è estremamente curato come ci ha abituati, ma appunto non rinuncia mai a creare un impianto sonoro variegato e indipendente. L’orchestra triestina risponde bene in tutte le sezione ed è evidente l’apprezzamento per il lavoro di preparazione effettuato da Oren.
Protagonista indiscusso della serata è lo Jago di Roman Burdenko. Il baritono è dotato di voce forse chiara, ma estremamente sicura e sonora a tutte le altezze. Il senso della parola e il fraseggio sono da grande artista ed è riuscito a creare un personaggio davvero credibile nella sua malignità insinuante senza scadere nel volgare.
Arsen Soghomonyan è un Otello più credibile visivamente che vocalmente. La voce è infatti perennemente indietro anche se il registro acuto è facile e riesce ad acquistare un po’ di lucentezza e capacità di penetrazione. Tuttavia il fraseggio è monocorde e alla fine il Moro è alquanto pallido.
Lianna Haroutounian è un buon soprano lirico, dotata di centri belli corposi, che però non riesce a smarcare la sua nobildonna e finisce per essere una Desdemona molto tradizionale e, di conseguenza, molto smorta. Un paio di acuti non propriamente a fuoco non compromettono una prova più che positiva.
Accorata l’Emilia di Marina Ogii e da tenere d’occhio Mario Bahg, Cassio chiaro e corretto.
Molto solidi tutti i comprimari.
Un po’ sottodimensionato il coro preparato da Paolo Longo.
Il pubblico - freddino durante la recita – ha tributato applausi calorosi a tutta la compagnia con punte di entusiasmo per Oren e Burdenko e qualche dissenso indirizzato a Ciabatti.
PRODUZIONE E INTERPRETI
Otello |
Arsen Soghomonyan |
Jago |
Roman Burdenko |
Desdemona |
Lianna Haroutounian |
Cassio |
Mario Bahg |
Emilia |
Marina Ogii |
Lodovico |
Giovanni Battista Parodi |
Roderigo |
Enzo Peroni |
Montano |
Fulvio Valenti |
Un Araldo |
Giuliano Pelizon |
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Direttore |
Daniel Oren |
Regia |
Giulio Ciabatti |
Costumi |
Margherita Platè |
Luci |
Fiammetta Baldiserri |
Maestro del Coro |
Paolo Longo |
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Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste |
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Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti da Cristina Semeraro |
FOTO FABIO PARENZAN
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