OTELLO, G.VERDI - TEATRO VERDI DI TRIESTE, INAUGURAZIONE DI STAGIONE, 04 NOVEMBRE 2022

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Composto fra il 1884 e il 1886 (più di dieci anni dopo Aida), l’Otello rappresenta un punto di svolta non solo per Verdi ma anche per l’opera italiana: il compositore si distacca infatti dalla tradizione soprattutto per quanto riguarda la forma aperta dei suoi numeri musicali. Tuttavia è impensabile che un ultrasettantenne non rimanga fedele a se stesso come confermano ad esempio la cabaletta alla fine del secondo atto e il grande concertato del terzo, invero abbastanza tagliato – forse prendendo spunto dalla versione francese - nell’allestimento andato in scena al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste.

Giulio Ciabatti ambienta la vicenda in una grande stanza blu incorniciata da grandi colonne al cui centro è disposta una pedana multifunzionale: una scena essenziale, molto tradizionale  e, aggiungerei, rassicurante per il pubblico triestino. Al solito i movimenti sono curati e ben studiati, abbastanza vari e le dinamiche fra i personaggi riescono ad emergere, ma non sono sufficienti a colmare il vuoto fisico e soprattutto teatrale sul palcoscenico. Funzionali i costumi di Margherita Platè e calibrato il disegno luci di Fiammetta Baldiserri. 

Tornato a Trieste dopo le vicende del 2007, ci pensa Daniel Oren dall’alto del podio a colmare il vuoto teatrale. Il direttore israeliano firma una direzione caratterizzata da un buon passo e senso drammatico. Sì, l’accompagnamento ai cantanti è estremamente curato come ci ha abituati, ma appunto non rinuncia mai a creare un impianto sonoro variegato e indipendente. L’orchestra triestina risponde bene in tutte le sezione ed è evidente l’apprezzamento per il lavoro di preparazione effettuato da Oren. 

Protagonista indiscusso della serata è lo Jago di Roman Burdenko. Il baritono è dotato di voce forse chiara, ma estremamente sicura e sonora a tutte le altezze. Il senso della parola e il fraseggio sono da grande artista ed è riuscito a creare un personaggio davvero credibile nella sua malignità insinuante senza scadere nel volgare. 

Arsen Soghomonyan  è un Otello più credibile visivamente che vocalmente. La voce è infatti perennemente indietro anche se il registro acuto è facile e riesce ad acquistare un po’ di lucentezza e capacità di penetrazione. Tuttavia il fraseggio è monocorde e alla fine il Moro è alquanto pallido.  

Lianna Haroutounian è un buon soprano lirico, dotata di centri belli corposi, che però non riesce a smarcare la sua nobildonna e finisce per essere una Desdemona molto tradizionale e, di conseguenza, molto smorta. Un paio di acuti non propriamente a fuoco non compromettono una prova più che positiva. 

Accorata l’Emilia di Marina Ogii e da tenere d’occhio Mario Bahg, Cassio chiaro e corretto.

Molto solidi tutti i comprimari.

Un po’ sottodimensionato il coro preparato da Paolo Longo.

Il pubblico - freddino durante la recita – ha tributato applausi calorosi a tutta la compagnia con punte di entusiasmo per Oren e Burdenko e qualche dissenso indirizzato a Ciabatti.

PRODUZIONE E INTERPRETI

 

Otello

Arsen Soghomonyan

Jago

Roman Burdenko

Desdemona

Lianna Haroutounian

Cassio

Mario Bahg

Emilia

Marina Ogii

Lodovico

Giovanni Battista Parodi

Roderigo

Enzo Peroni

Montano

Fulvio Valenti

Un Araldo

Giuliano Pelizon

 

 

Direttore

Daniel Oren

Regia

Giulio Ciabatti

Costumi

Margherita Platè

Luci

Fiammetta Baldiserri

Maestro del Coro

Paolo Longo

 

 

Orchestra e Coro del Teatro Verdi di Trieste

Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti da Cristina Semeraro

FOTO FABIO PARENZAN