È piuttosto rara la possibilità di ascoltare dal vivo I Lombardi alla Prima Crociata, titolo di un giovane Verdi motivato dal successo del precedente Nabucco, che riuscì a replicare rievocando diverse intuizioni musicali dal più celebre titolo e sviluppando una nuova opera nel solco dello stesso filone patriottico-risorgimentale. Se il libretto di Temistocle Solera non è certo tra i più ispirati - imperniato su una trama quantomai contorta tratta dal poema epico di Tommaso Grossi -diverse sono le soluzioni innovative che fanno di questa partitura uno spazio sperimentale di notevole interesse, con sonorità di grande potenza e ardite soluzioni inedite in contesto operistico (pensiamo all’assolo di violino dal sapore paganiniano che apre l’atto terzo - magistralmente eseguito da Mihaela Costea - o al ruolo preponderante affidato ai numerosi concertati). Stupisce insomma che certa critica additi i Lombardi come lavoro minore e musicalmente volgare, quando in realtà ricco di spunti certamente acerbi ma altrettanto affascinanti.
A sottolineare l’effettiva pregnanza musicale del titolo contribuisce appieno la variegata concertazione di Francesco Lanzillotta (che, per dovere di cronaca, si presenta sul podio con stampelle e tutore in seguito a un incidente). Il direttore romano propone una lettura duttile in grado di rendere al meglio ora l’infiammarsi violento della spinta guerriera insita nella vicenda, ora il distendersi in melodie melanconiche tra il visionario e l’introspettivo, con una resa potente ma sempre composta che non scade in insidiose volgarità spesso assimilabili a un simile contesto da Grand Opéra.
Se dalla buca ascoltiamo dunque con piacere la prova eccellente della Filarmonica Toscanini, non è da meno l’apporto dei solisti in scena.
Lidia Fridman debutta l’impervio ruolo di Giselda, magnetica nella resa vocale e nell’asciutto physique du rôle supportato dalla perpetua eleganza del gesto scenico. Al di là di alcune spinte eccessive nell’emissione in acuto e un timbro dal sapore piuttosto metallico, sorprende la maestria tecnica e interpretativa con cui il soprano russo piega la linea di canto alle diverse sfumature del ruolo (esemplare il passaggio dalla struggente “Se vano è il pregare” che va ad aprirsi ed esplodere nella spinta delirante di un “No! Giusta causa non è Iddio” al calor bianco).
Successo senza riserve per Michele Pertusi, che con tutta la sua esperienza dà forma a un Pagano di grande spessore. Corposo e solido nell’emissione, il basso parmigiano è come sempre forte di un fraseggio intelligente e variegato, efficace nel rendere con grande coinvolgimento l’evoluzione del suo complesso personaggio, con la sua graduale trasformazione da malvagio a pentito.
Prova maiuscola anche per Antonio Corianò (Arvino) e Antonio Poli (Oronte), impegnati nelle due insidiose parti tenorili. Totalmente differenti a livello timbrico ma entrambi di bella pasta vocale, il primo stupisce per ricchezza di armonici, il secondo per squillo e sapiente gestione delle mezzevoci.
Di qualità l’apporto dei cantati impegnati nei ruoli minori: Giulia Mazzola (Viclinda), Luca Dall’Amico (Pirro), William Corrò (Acciano) e i due allievi dell’Accademia Verdiana Zizhao Chen (un priore) e Galina Ovchinnikova (Sofia).
Il ruolo del Coro-effettivo protagonista aggiunto in quest’opera, con numerosi interventi di grande pathos- è splendidamente risolto dalle fila del Regio di Parma istruite da Martino Faggiani, con la meritata gratificazione di calorosi applausi a scena aperta in più di un’occasione (in particolare sul più celebre “O Signore, dal tetto natìo”, nelle sue evidenti rievocazionisolenni del “Va’, pensiero”).
Si dà grande spazio alla musica in questo nuovo allestimento proposto dal regista novantatreenne Pierluigi Pizzi, a partire dalla brillante intuizione di portare fisicamente in scena i bravissimi strumentisti impegnati negli assoli: il già citato violino, l’arpa, il flauto e il clarinetto.
A livello scenico s’incornicia in punta di piedi la vicenda con una glaciale estetica monocromatica che si limita principalmente ad illustrare le ambientazioni proposte dal libretto con videoproiezioni di grafiche 3D (di dubbio gusto nella realizzazione visiva, a onor del vero). Ai rendering architettonici che mostrano dalla facciata di Sant’Ambrogio alla città di Gerusalemme in lontananza, si alternano immagini più metafisiche inerenti alla sfera religiosa (sfondi neri con luminose apparizioni della Vergine) o più evocative (il taglio nero su sfondo bianco simil-Fontana, probabile simbolo di rottura nell’introduzione e di rinascita nel finale).
Al centro della scena troneggia una pedana circolare, una sorta di ring che si fa teatro di sanguinosi scontri e diviene all’occorrenza uno spazio protetto che i protagonisti utilizzano come pulpito per esprimere la propria interiorità, nell’esecuzione di arie e duetti più intimi.
Completano la suggestione visiva le abbaglianti luci di Massimo Gasparon e i variopinti costumi sempre a firma di Pizzi, unico guizzo di colore saturo sulle tinte del blu elettrico, del viola e dell’arancio.
Pubblico unanimemente entusiasta al calare del sipario con oltre quindici minuti di applausi e chiamate alla ribalta, degna chiusura di un XXIII Festival Verdi di indiscutibile successo.
Camilla Simoncini
PRODUZIONE ED INTERPRETI
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia, scene, costumi e video Pier Luigi Pizzi
Luci Massimo Gasparon
Coreografie Marco Berriel
Arvino Antonio Corianò
Pagano Michele Pertusi
Viclinda Giulia Mazzola
Giselda Lidia Fridman
Pirro Luca Dall’Amico
Un Priore della città di Milano Zizhao Chen*
Acciano William Corrò
Oronte Antonio Poli
Sofia Galina Ovchinnikova*
Violino solista Mihaela Costea
*Allievi dell’Accademia Verdiana
Filarmonica Arturo Toscanini
Orchestra Giovanile della Via Emilia
Coro del Teatro Regio di Parma
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Foto Roberto Ricci
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