Se Wagner ha usato il mito antico per trasmettere le sue idee politiche e filosofiche, Kurt Weill e Bertolt Brecht hanno creato la propria mitologia contemporanea nelle loro collaborazioni con fini comparabili e con un effetto altrettanto senza tempo. In Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny ("Ascesa e caduta della città di Mahagonny"), il successo di un insediamento capitalista, genera la propria fine attraverso l'eccesso, l'avidità e la corruzione. La legge è amministrata dai criminali, il suo Dio dice alla popolazione di andare all'inferno piuttosto che salvarla, e l'amore è scambiato come qualsiasi altra merce. Con il suo sovvertimento di aspettative drammatiche, è tanto una satira sull'opera stessa quanto sul fragile mondo tra le due guerre della Repubblica di Weimar, ma in entrambi i casi sembra acquisire sempre più rilevanza per il mondo globalizzato in cui ci troviamo oggi. La scelta di Weill cade sulla musica da cabaret, su ritmi ballabili, su coretti rozzi ed orecchiabili, dove le parole sono chiarissime e spesso gridate,tutto nel desiderio di rompere con una tradizione lirica, allora rappresentata dall'opera wagneriana e dal suo discorso continuo. Ecco quindi il ritorno a una struttura per numeri in una pazza mescolanza di stili, dove il canto soppianta l'aria e il jazz va di pari passo con l'atonalità della scuola viennese.
Questa scelta viene a coincidere, drammaticamente in modo straordinario, con la rappresentazione del disfacimento morale e dell’abbruttimento del sottoproletariato: ecco quindi che la città di Mahagonny è una sorta di paradiso dove tutti i vizi sono permessi e facili da praticarsi, whisky, gioco, sesso; è cioè il sogno che nasce dalle miserie morali della città stessa e si proietta come in un paradiso. Ma nell’ultima scena ai personaggi di questa città appare chiara la verità: a Mahagonny tutti i vizi sono permessi perché non hanno bisogno di punizione, di un inferno: quella città è già un inferno. La libertà è solo di chi ha il denaro, di chi può comprare quanto desidera, inventando leggi e corrompendo, a Mahagonny come nell'universo intero. “Ascesa e caduta della città di Mahagonny” è un pezzo di teatro di altissimo livello, con un formidabile equilibrio tra pensiero politico e poetico, critica spietata, invenzione espressiva, ispirazione teatrale, ma anche sacrosanta ingenuità, crudezza e la messa in scena di quest'opera, rispecchia un mondo di non-realtà, assurdo, surreale, che pare formato da residui, relitti della memoria, una sorta d'anticipazione del post moderno, per le citazioni musicali, la geografia sconnessa, un "after day" dove vince l'assoluta casualità della sopravvivenza. Comprensibile per qualsiasi regista la difficoltà di mettere in scena un'opera del genere, data la sua complessità e le varie sfaccettature insite nella trama, già di per sé alquanto bizzarra.
Mostrando il meccanismo per realizzare la città-trappola, la regia di Henning Brockhaus, con le funzionali scene di Margherita Palli (nei quali, per la verità, facciamo un po’ fatica a ravvisare il segno di Edward Hopper, come viene enunciato nel programma di sala) alla quale contribuiscono le suggestive luci di Pasquale Mari, i costumi di Giancarlo Colis, i video di Mario Spinaci e le un poco datate coreografie di Valentina Escobar, risponde alle intenzioni degli autori: ricordare costantemente al pubblico che sta assistendo ad uno spettacolo. Eppure il risultato, tutt’altro che spiacevole, non è all’altezza delle premesse e soprattutto della potenza tellurica del testo, persino più estremo della ben più nota “Opera da tre soldi”: Più che una satira, cruda, volgare, dove tutto sarebbe registicamente concesso e anche oltre, Brockhaus si limita, in maniera anche un po’ scontata, ad un ritratto impietoso della società dei consumi, in cui l’unico crimine possibile è la mancanza di denaro.
Qualche sottolineatura che vorrebbe essere grottescamente audace, e risulta solo un po’ pacchiana, non basta a invertire la tendenza di un allestimento persino troppo spoglio e sobrio, elegante ma anche freddo e quasi indifferente, di un’indifferenza che non ha nulla del disincanto brechtiano e anzi sembra perdersi (involontariamente) nell’esibizione di trovate patinate quanto risapute. Musicalmente, la sapiente bacchetta del direttore d’orchestra Christopher Franklin, ci conduce con sicurezza attraverso questo mondo variegato e complesso, di apparente facile fruibilità, popolaresco ma denso di riferimenti colti e di nuove intuizioni; la concertazione non perde mai la sua chiarezza anche nei concertati più complessi (mozzafiato quello che chiude l’atto primo) e l’ Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini” da prova di padronanza e duttilità interpretativa anche quando suona nei frequenti momenti in piccolo organico da cabaret. L’imponente Leokadja di Alisa Kolosova dona finalmente la giusta voce e presenza ad un ruolo solitamente affidato a soprani in disarmo, quando invece il ruolo è scritto per una potentissima voce mezzosopranile.
Chris Merritt “Fatty” ha una parte che si rifugia in uno “sprechgesang” permanente, ma la voce risulta saldissima e controllata a dispetto di una carriera ormai pluridecennale. Ottima la presenza scenica e vocale invece quella che troviamo nello Dreieinigkeitsmoses di Zoltan Nagy. In Jenny, Nadja Mchantaf si scontra con il fantasma di un ruolo immortalato da Lotte Lenya, moglie e musa ispiratrice di Kurt Weill con la sua voce atipica, tremante, persino ingrata eppure inseparabile da questa musica. Per scongiurare uno spettro invadente, il soprano sceglie di non alterare la naturale seduzione del timbro e la radiosità degli acuti, senza però convincerci della fondatezza della proposta.
Tobias Hächler supera le tensioni del tremendo ruolo di Jim, senza mai rinunciare alla musicalità, né a sprofondare in un espressionismo contrario al desiderio brechtiano di distacco, anche se il suo monologo nel terzo atto, tende a perdere un poco la sua potenza emotiva .
Eccellente lo stuolo dei comprimari e davvero impressionante, sotto il profilo non meno vocale che scenico, la prova del coro del Teatro Regio di Parma istruito da Martino Faggiani.
Applausi convintissimi al termine per tutta la numerosissima compagnia con punte di entusiasmo per Meritt e la Kolosova.
Piarluigi Guadagni
PRODUZIONE E INTERPRETI
AUFSTIEG UND FALL DER STADT MAHAGONNY
Opera in tre atti su testo di Bertolt Brecht
Musica di Kurt Weill
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Martino Faggiani
Regia Henning Brockhaus
Scene Margherita Palli
Luci Pasquale Mari
Video Design Mario Spinaci
Costumi Giancarlo Colis
Coreografia Valentina Escobar
Leokadja Begbick Alisa Kolosova
Fatty, der “Prokurist” Chris Merritt
Dreieinigkeitsmoses Zoltan Nagy
Jenny Hill Nadja Mchantaf
Jim Mahoney Tobias Hächler
Jack O’Brien Christopher Lemmings
Bill, detto Sparbüchsenbill Horst Lamnek
Joe, detto Alaska wolf joe Jerzy Butryn
Tobby Higgins Christopher Lemmings
Il narratore Filippo Lanzi
Sei ragazze di Mahagonny Roxana Herrera, Elizabeth Hertzberg
Yulia Tkachenko, Cecilia Bernini
Kamelia Kader, Mariangela Marini
Orchestra dell’Emilia-Romagna “Arturo Toscanini”
Coro del Teatro Regio di Parma
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
in coproduzione con Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Foto Teatro Valli Reggio Emilia
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