“Bada bene d’evitare la monotonia. Nei soggetti naturalmente tristi, se non si è ben cauti si finisce a fare un mortorio, come per modo d'esempio i Foscari, che hanno una tinta, un colore troppo uniforme dal principio alla fine!”
Così scriveva Verdi al Piave nel 1848, quattro anni dopo la tiepida prima romana al Teatro Argentina. Opera brevissima, la più breve di tutto il catalogo verdiano, un’ ora e 40 minuti scarsi di musica, i Due Foscari rimane opera oscura nelle tinte come e soprattutto nella trama, dove succede assai poco e la caratterizzazione dei personaggi rimane pressochè accennata. Nonostante questa difficoltà legata alle personalità dei protagonisti è interessante notare come questa tragedia sia la prima dove le storie d'amore non sono il perno attorno a cui ruota l'azione, ma lo sono le faccende politiche; questo sarà poi l'inizio per Verdi per tutte quelle opere nelle quali la politica ha un ruolo fondamentale, come ad esempio Macbeth. Ma 'I Due Foscari' rappresenta anche una delle tappe più importanti nel percorso che condusse Verdi dai famosi “anni di galera” al traguardo raggiunto appunto con Macbeth, primo grande capolavoro della sua giovinezza. Ultimo titolo della stagione al Teatro Municipale di Piacenza, l’ allestimento proposto è una coproduzione nata parecchi anni fa tra la Fondazione Teatro Lirico “Giuseppe Verdi” di Trieste e l’Associacion Bilbaina de Amigos de la Opera di Bilbao, andata in scena anche al Festival Verdiano di Parma nell’ottobre 2009 e a Modena. Lo spettacolo si avvale della regia di Joseph Franconi Lee (qui ripresa da Daniela Zedda) che racconta l’opera con le scene e i costumi di William Orlandi, le coreografie di Raffaella Renzi e le luci di Valerio Alfieri. La regia gioca sulla sottolineatura del contrasto tra pubblico e privato ed è di impianto didascalico e tradizionale, ma possiede una certa personalità che non la rende scontata, anche se ormai risulta particolarmente datata e polverosa, oltre che un poco noiosa soprattutto per gli interminabili ed incomprensibili intervalli che dilatano a dismisura serata e concentrazione del pubblico.
Le scene di William Orlandi, semplici ma efficaci, rappresentano via via le stanze del palazzo ducale o l’ oscuro carcere, mentre la Serenissima è sempre sullo sfondo, lontana nella sua inutile bellezza.
Anche i costumi, firmati ancora da William Orlandi, si collocano nel segno della tradizione storica.
L’ opera ruota attorno alla figura di Francesco Foscari e il Doge lacerato dalla ragion di stato di Luca Salsi è autorevole ma non autoritario, così come il lato familiare, quello di padre, è restituito con toni dolenti ma non lamentosi. Il baritono parmigiano cattura ancora una volta il pubblico grazie ad un’intensa interpretazione, ma anche grazie ad un’ottima presenza scenica che gli permette di trionfare nell’ultima scena che chiude l’opera in maniera formidabile.
Luciano Ganci non sembra essere perfettamente a suo agio nell'aria di apertura, privilegiando i forti talvolta a scapito del bel colore vocale in una romanza dove ci si sarebbe aspettati di trovare una sua malinconica dignità. Poco male, perché comunque il tenore romano possiede voce strabordante ma educata, solare e omogenea in tutto il registro. Ganci è riuscito nella non facile impresa di dare un’identità precisa al figlio del Doge, preferendo alla mestizia dell'accettazione di un fato iniquo, la virilità di un figlio sfortunato. Il tenore romano ha sfoggiato una voce omogenea, oltre che sicura negli acuti, confermandosi un ottimo tenore dal carattere lirico spinto, dotato di squillo e capace di inflessioni sentimentali così come eroiche.
La Lucrezia di Marigona Qerkezi (chiamata a sostituire la prevista Marina Rebeka) viene a capo della sua scomodissima parte con ottime capacità. Nella seconda ottava il suono è ben proiettato e si fa udire anche nei concertati, le note di una parte di micidiale difficoltà ci sono tutte e la limitatezza del registro grave è gestita con gusto e senza aperture del suono, anche se il personaggio richiederebbe altro mordente ed altro spessore. Buona anche la prova del basso Antonio Di Matteo impegnato nella breve ma fondamentale parte di Jacopo Loredano.
Buoni anche i comprimari coinvolti in questa produzione: Marcello Nardis, Ilaria Quilico, Manuel Pierattelli ed Eugenio Maria Degiacomi ( rispettivamente Barbarigo, Pisana, Fante ed un servo del Doge).
Questo Verdi che sta tra gli anni di galera e i fasti delle opere successive è difficile da eseguire, perché l’effetto banda è sempre dietro l’angolo. La direzione di Matteo Beltrami sembra interessata a sottolineare la dimensione frenetica e concitata di un’opera dove le passioni politiche e familiari esplodono indomabili. Beltrami pare invece voler aiutare troppo il cast vocale sollecitando l’Orchestra dell’Emilia Romagna A.Toscanini a rimanere sempre all’interno di un defilato accompagnamento, ma sempre con passo spedito e dinamiche sonore molto contrastate. Alla fine non ci si annoia di certo con questo Verdi febbricitante e corposo, che però incalza costantemente le voci sul palcoscenico a volumi piuttosto sostenuti con qualche inevitabile forzatura nell’emissione.
Corretto è stato il contributo del Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato da Corrado Casati.
Trionfo al termine per tutti gli interpreti coinvolti, con punte di entusiasmo per Luca Salsi, da parte di un teatro gremito di appassionati verdiani.
Pierluigi Guadagni
LA PRODUZIONE
INTERPRETI
Francesco Foscari Luca Salsi
Jacopo Foscari Luciano Ganci
Lucrezia Contarini Marigona Qerkezi
Jacopo Loredano Antonio Di Matteo
Barbarigo Marcello Nardis
Pisana Ilaria Alida Quilico
Fante Manuel Pierattelli
Servo del Doge Eugenio Maria Degiacomi
direttore Matteo Beltrami
regia Joseph Franconi Lee
scene e costumi William Orlandi
luci Valerio Alfieri
coreografie Raffaella Renzi
regista collaboratore Daniela Zedda
ORCHESTRA DELL’EMILIA-ROMAGNA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
FOTO GIANNI CRAVEDI
maestro del coro Corrado Casati