FONDAZIONE ARENA DI VERONA , LA GIOCONDA - TEATRO FILARMONICO DI VERONA, 23 OTTOBRE 2022

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Amore e gelosia, intrigo e negre magie. Si potrebbe riassumere così quel polpettone musicale un poco indigesto che è La Gioconda.

Delicatissima persona, proverbialmente distratto, Ponchielli, quando la sera dell' 8 aprile 1876 colse alla Scala, il suo vero, primo successo (dirigeva il veronese Faccio), aveva quarantadue anni. Non è più un giovane, commentò caustico Verdi, nove anni più tardi lo troviamo già al cimitero.

Assieme a Boito, qui librettista  anagrammato in Tobia Gorrio, inventarono un personaggio diverso, vocalmente nuovo, un soprano lirico e drammatico che fosse espressione di rabbia e tenerezza, di splendida voce innamorata e di cupa miseria umana: tutto questo si incrocia nel disegno vocale  e psicologico della cantatrice veneziana.

Peccato che attorno le stanno dei personaggi con una profondità psicologica minima, essendo più simili alla rappresentazione di sentimenti estremi piuttosto che a personaggi drammatici credibili. Avviene così che figure un poco povere drammaticamente come Barnaba, o poverissimi, come Enzo, trovino una collocazione interessante in un contesto più ampio, fatto di cori, di movimenti scenici, di concertati «psicologici».

Un regista de La Gioconda oggi può scegliere due approcci antitetici per la sua messa in scena: o una parodia della storia mettendo in scena “qualcos'altro” (ci si chiede cosa potrebbero inventare Claus Guth o Krzysztof Warlikowski o anche Damiano Michieletto per fare qualche nome) oppure un'interpretazione tradizionale, un' immagine da cartolina di Venezia. A Verona Filippo Tonon non sceglie ovviamente la prima strada, ma tiene conto del budget teatrale sempre più limitato a disposizione delle Fondazioni Liriche e con una messa in scena semplificata depurata da orpelli e cartapesta, disegnando una Gioconda bellissima e molto funzionale, fatta di sapienza nel movimento delle masse in una scenografia che tende ad accennare più che a descrivere la città lagunare, trasportando l’epoca dell’azione da dogale ad austriaca (fine’800, inclusi i bellissimi costumi stile impero di Carla Galleri). Tutto bello, grazioso e funzionale, le 4 ore di spettacolo corrono con garbo in una regia di maniera che odora di naftalina. Peccato che sia tutto già visto e rivisto centinaia di volte e gli echi e i rimandi a  Pizzi  & company rendano lo spettacolo un po' noioso in un’ opera già di per sé noiosissima.

Si taccia del momento clou della serata, la famosissima danza delle ore, qui limitata a tre ballerine (Evgenija Koskina, Tetiana Svetlicna, Mina Radakovic) molto volenterose ma represse nella imbarazzante coreografia di Valerio Longo.

Francesco Ommassini, responsabile della produzione musicale, guida con mano ferma e sicura un’Orchestra della Fondazione Arena meno indisciplinata del solito, ma è la teatralità, l’incisività della melodia che germoglia dall’orchestra, il giusto peso dato al sostegno del canto a realizzare un corpus unicum compatto e vivido del lavoro di Ponchielli, che forza nella struttura del grand opéra francese sottigliezze armoniche di ispirazione wagneriana, melodismi di ispirazione romantica e vocalismi veriste. Peccato che le dinamiche risultino tal volta fin troppo appiattite, variando esclusivamente dal mezzo-forte al forte, senza ulteriori sfumature, ma in una partitura “monstre” com’è quella di Gioconda, riuscire a piegare il lavoro di Ponchielli ad una digestiva accettabilità, è veramente impresa ardua se non addirittura vana.

La prova del Coro, diretto da Ulisse Trabacchin, si impone per solidità, compattezza e spessore sonoro, preciso, disciplinato e sprizzante di allegria è il Coro di voci bianche A.LI.VE guidato da Paolo Facincani.

Monica Conesa, Gioconda, se ha dalla sua una presenza scenica notevole, possiede voce abbastanza generica e in quanto ad espressività ricorda più Nicoletta Orsomando che Maria Callas, della quale cerca di imitare il colore sonoro nella parte alta del rigo e in certi affondi di voce.  Un rischio notevole, quello di imitare la Cantante Greca, perchè se non si possiede la sua tecnica e il suo allure, si rischia di fare una brutta fine nel giro di pochi anni e gli annali sono pieni di recenti imitatrici finite malissimo.

La voce è ampia e generosa nell’affondo sonoro acuto, minuscola e petulante nella parte bassa del rigo, la dizione è approssimativa tutta tesa alla ricerca spasmodica di vocali aperte che le permettano di farsi sentire oltre le prime file di platea, oltre ad essere ampiamente deficitaria in quel recitativo scolpito largamente usato da Boito nella sua parte (chiamato dal Ponchielli "il parlante"). Se si conta poi che la scrittura di Gioconda insiste più sul versante medio basso che in quello alto del rigo, dove la voce di petto deve essere spesso evidenziata ma senza enfasi, il risultato complessivo è alquanto mediocre.

Angelo Villari è stato un Enzo  caratterizzato dalla voce ampia, di bel timbro e dalla linea tutto sommato omogenea. Riesce a smorzare lo strumento nelle intimità di “Cielo e mar”, ma anche a tenere l’acuto finale sicuro e brillante. Tuttavia, se il fraseggio risulta curato nei momenti più noti, è invece generico in buona parte dell’opera, e ciò non aiuta a renderlo un protagonista memorabile.

La Laura intensa e nobilissima di Agneszka Rehlis, raffinatissima interprete di una parte che corre in tutto il registro con sicurezza e spavalderia,  è risultata la migliore in campo tra il terzetto vocale femminile dove non si può dire che la Cieca di Agostina Smimmero sia stata memorabile per interpretazione.

Simon Lim si destreggia nella truce parte di Alvise con una cattiveria altera e mai sopra le righe, bieco rappresentante di un potere malato. La voce corre rotonda per la sala ostentando una voce dai mezzi generosi e copiosi.

Molto bene ha fatto anche Angelo Veccia nella parte di un Barnaba subdolo e nero nell'anima. Veccia si dimostra cantante pregevolissimo soprattutto nella chiarezza interpretativa, riuscendo a stemperare con sobria eleganza il suo bipolare personaggio.

Ottime tutte le parti minori, soprattutto l'ottimo Zuane di Alessandro Abis.

Successo pieno per tutti gli interpreti coinvolti da parte del pubblico del Teatro Filarmonico.

 

Pierluigi Guadagni

 

LA LOCANDINA:

 

LA GIOCONDA

Dramma lirico in quattro atti

Libretto di Tobia Gorrio (Arrigo Boito)

Musica di Amilcare Ponchielli

 

Direttore Francesco Ommassini 

Maestro del coro Ulisse Trabacchin 

Regia e scene Filippo Tonon 

Costumi Filippo Tonon e Carla Galleri 

Luci Fiammetta Baldiserri 

Coreografie Valerio Longo 

 

La Gioconda Monica Conesa 

Laura Adorno Agnieszka Rehlis 

Alvise Badoero  Simon Lim 

La Cieca Agostina Smimmero 

Enzo Grimaldo Angelo Villari 

Barnaba  Angelo Veccia 

Zuàne  Alessandro Abis 

Un cantore Francesco Azzolini* 

Isèpo  Francesco Pittari 

Un pilota  Maurizio Pantò* 

Un barnabotto Nicolò Rigano* 

Una Voce  Dario Righetti* 

Un’altra Voce Jacopo Bianchini* 

Prime ballerine Evgenija Koskina,

Tetiana Svetlicna, Mina Radakovic

 

*Artisti del coro della Fondazione Arena di Verona

 

Orchestra, coro e tecnici della Fondazione Arena di Verona

Coro di Voci Bianche A.LI.VE. diretto da Paolo Facincani

FOTO ENNEVI