Vi siete mai chiesti cosa sia successo a Rigoletto dopo la morte di Gilda?
Alla risposta ci aveva pensato Damiano Michieletto già nel 2017 quando allestì per la Dutch National Opera di Amsterdam la sua versione del dramma, che in questi giorni è stata riproposta presso il Teatro La Fenice di Venezia.
Secondo il regista, al termine della storia il protagonista impazzisce e viene ricoverato in un ospedale psichiatrico. Partendo da questo spunto, tutta l’azione viene spostata nella bianchissima camera di un manicomio con un semplice letto, un lavandino a sinistra e un grande finestra sulla destra; le pareti, su cui si aprono delle voragini da cui entra ed esce il coro, sono rivestite di piastrelle e su tutto domina un grande soppalco raggiungibile da due scalette opposte: una sorta di asettico non-luogo della mente -ideato da Paolo Fantin - in cui il protagonista è rinchiuso e che Michieletto utilizza come un canvas bianco per riscrivere l’azione.
Qui, fra incubi e deliri, il buffone rivive la sua vicenda di padre ossessionato, una retrospettiva ampliata dall’utilizzo di una serie di flashback dell’infanzia di Gilda – proiezioni ad opera di Rocafilm e Ideogamma - che risultano un po’ eccessivi e stucchevoli.
Nonostante la grande attenzione alla coerenza drammaturgica, cavalcando benissimo la musica e gli spunti del libretto, i primi due atti scorrono senza particolari guizzi nonostante i tanti spunti interessanti come la bambina senza volto- doppelgänger di Gilda, il letto sospeso su cui un cortigiano fa una parodia delle molestie di gruppo alla ragazza, il velo nero con cui si veste da sposa durante il duetto col Duca, che diventa telo con cui la rapiscono e con cui copriranno la sua tomba, il modo in cui Rigoletto gioca con il coro.
Risulta più riuscito e convincente il terzo atto, in cui -se si tralasciano gli eccessi di simbolismo -emerge come Michieletto sia capace di fare teatro con poco: durante il quartetto Gilda è infatti costretta a guardare il Duca che seduce Maddalena compiendo esattamente gli stessi gesti con cui lui l’aveva sedotta durante il loro duetto, persino consegnandole un anello come aveva fatto con lei.
Inoltre in alcuni momenti il regista fa amoreggiare lei e il duca in modo da rendere ancora più vivido e intenso il ricordo dei bei momenti trascorsi assieme e, come non mai, il dolore di Gilda. Nel mentre Rigoletto scava la tomba della figlia, da cui – dopo l’uccisione a scena aperta - esce la bambina doppio finalmente libera.
La lettura di Daniele Callegari ha il pregio di rinunciare a caccole e puntature di tradizione optando per tempi piuttosto serrati di grande efficacia nei momenti più spiccatamente teatrali ma che spesso privano i cantanti di ogni libertà e spontaneità in quelli più lirici - oltre che a qualche fiato. La sensazione generale è quella di una direzione un po’ asettica, seppur di gran pregio.
Luca Salsi vive e dà vita a un personaggio di grande umanità, distrutto e che si incolpa della morte di Gilda. La voce si impone con facilità al netto di qualche slittamento di intonazione in acuto e un parlato troppo frequente. Di impatto il suo Cortigiani, vil razza supportato da un repentino cambio di tempo dell’orchestra e da un incalzare degli archi gravi di grande effetto che gli è valsa un’ovazione del pubblico.
Claudia Pavone disegna una Gilda adolescente ormai matura e pronta per smarcarsi dalla figura paterna. Il soprano colpisce per intonazione, precisione e sonorità dello strumento, anche se risulta la più penalizzata dalla direzione che non le ha concesso nulla nelle parti più cantabili -caso emblematico il Caro nome.
Stupendo il Duca di Ivan Ayon Rivas dal fraseggio fresco, ricco e mai banale e che trae maggior beneficio dalla direzione, che lo fa risultare ancora più spavaldo e appassionato. La voce del tenore ha acquisito più corpo e capacità di esibire fiati lunghissimi tanto che gli perdoni qualche acuto un po’ spinto.
Inizialmente poco a fuoco lo Sparafucile di Mattia Denti che offre una prova in crescendo mentre Valeria Girardello è una Maddalena sensualissima in scena ma meno esuberante nel canto.
Un plauso a tutte le parti minori per l’ottimo livello e per come hanno dimostrato che di fatto di minore hanno poco, nello specifico Armando Gabba (Marullo), Marcello Nardis (Matteo Borsa), Matteo Ferrara e Rosanna Lo Greco ( Conte e contessa di Ceprano), Emanuele Pedrini (usciere di corte) e Sabrina Mazzamuto (paggio della duchessa).
Sempre eccellenti Orchestra e Coro della Fondazione.
Ottimo successo per tutta la compagnia con punte di entusiasmo per il protagonista.
La recensione e si riferisce alla replica di sabato 2 ottobre 2021.
PRODUZIONE
Direttore Daniele Callegari
regia Damiano Michieletto
scene Paolo Fantin
costumi Agostino Cavalca
light designer Alessandro Carletti
video design Rocafilm
video-proiezioni Ideogamma
INTERPRETI
Il Duca di Mantova Ivan Ayon Rivas
Rigoletto Luca Salsi
Gilda Claudia Pavone
Sparafucile Mattia Denti
Maddalena Valeria Girardello
Giovanna Carlotta Vichi
Il conte di Monterone Gianfranco Montresor
Marullo Armando Gabba
Matteo Borsa Marcello Nardis
Il conte di Ceprano Matteo Ferrara
La contessa di Ceprano Rosanna Lo Greco
Un usciere di corte Emanuele Pedrini
Un paggio della duchessa Sabrina Mazzamuto
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
FOTO MICHELE CROSERA
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