ROBERTO DEVEREUX, TEATRO LA FENICE DI VENEZIA - RECITA DI GIOVEDI' 17 SETTEMBRE 2020
Da anni si vociferava il suo ritorno, e finalmente Roberto Devereux è sbarcato al Teatro La Fenice. Lo fa con un allestimento in forma semi-scenica che, privo di orpelli, lascia spazio solo all’essenziale: il dramma e Donizetti.
Dell’installazione di Massimo Checchetto, a cui eravamo ormai abituati, rimane solo la prua sul palcoscenico, che avvolge e dona una certa regalità alla scena. Da questi presupposti parte la regia di Alfonso Antoniozzi, che obbligatoriamente cesella il lavoro sul singolo, scava, ripulisce e fa emergere i tormenti, la solitudine e - sembra quasi sciocco sottolinearlo di questi tempi - le distanze fra i personaggi, che qui sembrano abissali, anche grazie al supporto delle luci bellissime e ben centrate di Fabio Barettin.
Roberto Frizza ci fa capire sin dalle prime note della sinfonia qual è la sua visione di questo Devereux (pressoché integrale), fornendo una direzione tesa, ricca di contrasti e teatralità. Fa piacere sentire finalmente in questo repertorio un’orchestra non imbrigliata al servizio del belcanto, ma viva e palpitante pur rimanendo sempre ben calibrata. Frizza inoltre riesce a mantenere la sua linea narrativa pur piegandosi alle esigenze dei cantanti e togliendoli senza problemi da eventuali impicci.
Nel ruolo del titolo Enea Scala si conferma cantante generoso per intenzioni e volume nonostante appena inizi a salire la voce suoni sempre costretta. La dizione è comunque nitida, il fraseggio scolpito e delineando un Roberto Devereux un po’ esuberante anche in scena, il tenore conquista facilmente il pubblico della Fenice. È lui infatti il trionfatore della serata.
Roberta Mantegna ha dalla sua uno strumento di grande fascino timbrico e morbidezza, in particolare nella prima ottava, ma appare intimorita nel suo approccio alla parte. La voce c’è, ma le agilità sono quasi sempre spianate e gli acuti più estremi tesi. Non a caso appare maggiormente a suo agio nella prima scena del secondo atto. Tuttavia il problema più grande rimane la mancanza quasi totale di colori e il soprano fatica a trovare qualche accento persino nella grande scena finale, lasciando la sensazione che la lettura sia ancora da approfondire.
Discorso opposto vale per la Sara di Lilly Jørstad che regala un’interpretazione molto sentita e coinvolgente sia dal punto di vista vocale che scenico, nonostante il mezzosoprano sia in difficoltà in zona acuta e i gravi manchino di una certa sostanza. Musicalità e fraseggio però sono sempre accattivanti, in particolare nel duetto con lo stupendo Nottingham di Alessandro Luongo. La prova del baritono è veramente maiuscola: tratteggia un duca leale alla moglie, all’amico e al trono, forte di una linea di canto sempre nobile anche nei momenti più concitati.
Incisivi ed efficaci gli interventi di Enrico Iviglia e Luca Dall’Amico. Il paggio era Luca Ludovic, mentre un familiare di Nottingham Umberto Imbrenda.
Ottimo come sempre il coro preparato da Claudio Marino Moretti.
Successo da stadio per cast e direttore salutati con fischi alla ribalta.
Andrea Bomben
LA PRODUZIONE E GLI INTERPRETI
Direttore Riccardo Frizza
regia Alfonso Antoniozzi
light designer Fabio Barettin
Elisabetta Roberta Mantegna
Sara Lilly Jørstad
Roberto Devereux Enea Scala
Il duca di Nottingham Alessandro Luongo
Lord Cecil Enrico Iviglia
Sir Gualtiero Raleigh Luca Dall’Amico
Un paggio Luca Ludovic
Un familiare di Nottingham Umberto Imbrenda
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
maestro del Coro Claudio Marino Moretti
FOTO MICHELE CROSERA
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