Marco Angius, Direttore Musicale OPV, ricorda Pierre Boulez



Il mondo musicale piange la scomparsa di Pierre Boulez, compositore e direttore d'orchestra, protagonista assoluto della musica del Novecento, morto a 90 anni.



Lo ricorda anche Marco AngiusDirettore Musicale dell'Orchestra di Padova e del Veneto e direttore italiano di riferimento per il repertorio contemporaneo. Oltre ad aver diretto l'Ensemble Intercontemporain a Parigi, fondato da Boulez, Angius è stato sul podio dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI lo scorso 20 febbraio in occasione dell'omaggio di "RAI Nuova Musica" per i 90 anni del geniale musicista francese.


Dichiara Angius: «La scomparsa di Pierre Boulez lascia un vuoto incolmabile nella cultura e nella musica mondiali, non solo per la musica contemporanea -di cui era testimonianza storica vivente e autorevole spiritus rector- ma anche per la ricchezza e l'innovazione che la sua figura ha rappresentato per intere generazioni di musicisti. Essendo stato altrettanto determinante come compositore e direttore d'orchestra, il patrimonio culturale e artistico che Boulez consegna in eredità alle epoche future costituisce un valore di assoluto riferimento. È stata per me un'esperienza cruciale oltre che un grande onore dirigere l'ensemble da lui fondato, l'Intercontemporain di Parigi, così come confrontarmi costantemente con le sue composizioni, dal Marteau sans maître al recente omaggio per i novant'anni nel febbraio 2015 a Torino, e mi sento profondamente in lutto per questa perdita.
La sua opera continuerà ad essere il "paese fertile" per tante nuove creatività e immaginazioni compositive.
»


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RICHARD WAGNER, DER RING DES NIBELUNGEN, Ein Bühnenfestspiel für drei Tage und einen Vorabend; ZWEITER TAG:SIEGFRIED- Teatro Massimo di Palermo, 20 dicembre 2015





O eroe fanciullo!
O stupendo ragazzo!
Tu di auguste gesta
inconscio tesoro!
Ridendo, io ti debbo amare,
ridendo, voglio io accecare,
ridendo, lasciaci rovinare,
ridendo, a perdizione andare!


Interrotto il progetto di prima messinscena completa del Ring Wagneriano due anni fa per problemi finanziari, il Teatro Massimo di Palermo riprende l' ardimentosa impresa con una nuova produzione di Siegfried.
Nell'insieme della Tetralogia Wagneriana, Siegfried viene spesso considerata come una fiaba autonoma.
Pur avendone tutte le caratteristiche  (unitarietà chiusa della narrazione, continuità di  un clima poetico e musicale, coerenza delle strutture  drammatiche e musicali) Siegfried con le sue strutture in perfetto equilibrio, risulta essere il centro focale di tutta la Tetralogia, il cuore pulsante soprattutto musicale nel quale tutti i punti dell' immenso dramma wagneriano convergono e poi divergono.
Gli stessi Leitmotiv, struttura portante del dettato wagneriano e protagonisti autentici, qui rinvigoriscono e quelli già uditi e che qui ritornano, si piegano docilmente alle rinnovate necessità di espressione, poiché Siegfried è il lavoro dell'ottimismo, della felicità suprema, come Walkuere era il lavoro del pessimismo e Goetterdammerung sarà quello della catarsi suprema.


In questo contesto di fresca giovinezza si è inserita, in un proseguo coerente con le precedenti giornate, il lavoro del regista Grahm Vick.
Chi conosce l'artista, sa perfettamente che ogni lavoro di Vick non è mai banale né scontato, anche se richiede spesso una capacità di adattamento intellettivo non indifferente per le sue scelte spesso discutibili ma sempre comunque intelligenti e coerenti con la sua visione generale del teatro d'opera, un teatro vivo e pulsante sotto tutti i punti di vista.
Il lavoro di Vick per questo Siegfried viene plasmato sulla strutture architettoniche portanti dell'apparato scenico del Teatro Massimo, e le scene e i costumi di Richard Hudson, moderne e per nulla convenzionali, perfettamente si adattano a questa idea.
Per nulla convenzionale è la recitazione che Vick richiede agli interpreti, curando ogni dettaglio in maniera maniacale, come pure risolvendo i momenti topici del dramma Wagneriano con idee innovative e per nulla scontate.

Pensiamo alla scena della forgiatura della spada, al duetto MimeWanderer del primo atto, alla scena dell'uccisione di Fafner o all'attraversamento delle fiamme nel terzo atto, tutte risolte con una maestria scenica da lasciare a bocca aperta pur nella sua semplicità (e anche nella sua banalità), ma che riportano ad un contesto intellettivo di grande spessore e di grande efficacia.
Formidabile l'idea di inserire dei mimi, coordinati nelle azioni sceniche da Ron Howel, nel contesto di un opera “solitaria” che si sviluppa per strutture simmetriche a due o massimo tre personaggi per volta, dando così l'idea di favola corale in un lavoro che è corale solo musicalmente grazie alla selva contrappuntistica dei leitmotiv.
In tanta fantasia registica, ben si amalgama la compagnia di canto scelta per questa produzione pur con qualche distinguo.

Trionfatore della serata è stato a mio avviso il Mime di Peter Bronder che ben si inserisce nel solco di quella tradizione superba creata da cantanti come Stolze, Zednik o Clarck risolvendo il personaggio con una maestria scenica e vocale notevoli per un ruolo che richiede duttilità vocale non indifferente e una presenza scenica continuamente giocata sull'ambiguità.

Da dimenticare in un silenzioso oblio la prova vocale di  Christian Voigt, probabilmente afflitto da un fastidioso raffreddore, ma non essendo stata annunciata la sua indisposizione, fatichiamo a credere possa portare a termine le recite successive. Se da un lato bisogna annotare la grande presenza scenica, la straordinaria recitazione e il carisma dell'attore, dal punto di vista vocale la sua interpretazione prestava il fianco a momenti di imbarazzante delusione; la mancanza di appoggio della voce, e una non corretta emissione nei passaggi di registro unito ad una fonazione fissa e spesso non intonata, hanno compromesso la sua interpretazione.

Notevole il Wanderer di Thomas Gazheli, dotato di una magnifica pasta vocale di vero basso acuto, nobile in scena e nel fraseggio, carismatico, è stato di volta in volta carezzevole, autoritario, scolpito e protervo. Ha disegnato un personaggio a tutto tondo, credibile e veramente regale, forte di una tecnica, di un timbro e di un colore che lo pongono senza dubbio tra i migliori in questo ruolo.

Altrettanto bravo Sergei Leiferkus come Alberich, cantato con ottima tecnica e varietà di inflessioni, nonché con una notevole profondità di consumato interprete. Si sarebbero desiderati forse un volume e un impatto vocale più autorevoli come il ruolo richiederebbe.

Un poco sottotono il Fafner di Michael Eder, molto bene e sicura nella sua breve parte di Erda Judit Kutasi come pure Deborah Leonetti nella parte del Stimme des Walvogels.
Nonostante una lieve indisposizione annunciata, Meagan Miller è stata una Brunnhilde rigogliosa e in ottime condizioni che ha avuto il pregio di saper cantare una parte dove quasi tutte urlano con fiati ed acuti lunghissimi.

Persa per strada la bacchetta algida ed inesperta di Pietari Inkinen che aveva diretto le precedenti giornate, l'Orchestra del Teatro Massimo trova la mano esperta di Stefan Anton Reck che ha saputo far vibrare e risplendere tutte le sezioni, mantenendo un equilibrio esemplare tra orchestra e palcoscenico pur scegliendo tempi molto comodi, regalandoci una prestazione piena anche di lirismo, timbri raffinati e una discreta precisione tecnica in tutte le sezioni strumentali ed in particolare per quanto riguarda gli ottoni.
Al termine delle cinque ore di spettacolo, applausi convinti per tutti con ovazioni per Bronder e Gazheli da parte di un pubblico attento e partecipe.

Pierluigi Guadagni

LA PRODUZIONE

Direttore                     Stefan Anton Reck
Regia                           Graham Vick
Scene e costumi          Richard Hudson
Azioni mimiche
         Ron Howell
Luci                            Giuseppe Di Iorio
Assistente alla regia  Lorenzo Nencini
Assistente a scene
e costumi                    Elena Cicorella

GLI INTERPRETI

Siegfried                    Christian Voigt
Mime                          Peter Bronder
Wanderer (Wotan)   Thomas Gazheli
Alberich                     Sergei Leiferkus
Fafner                        Michael Eder
Erda                           Judit Kutasi
Brünnhilde                Meagan Miller
Stimme
des 
Waldvogels              Deborah Leonetti

Orchestra del Teatro Massimo





Foto Rosellina Garbo/ Franco Lannino StudiocameraIMG

L'ELISIR D’AMORE, G. DONIZETTI – TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA, MERCOLEDI’ 16 DICEMBRE 2015




Con la felice ripresa dell’Elisir d’amore di Donizetti che debuttò a Bologna nel 2010 termina il cartellone operistico del Teatro Comunale per quest’anno solare che volge a conclusione. Definire allegro, delizioso o semplicemente divertente lo spettacolo concepito dalla regista Rosetta Cucchi è forse riduttivo, poiché sono veramente tanti e molto intelligenti gli spunti che questa messa in scena offre, sì da far riflettere oltre che divertire. Se forse adesso può non sembrare più una novità trasportare le storie di giovani innamorati in un istituto scolastico, in questa opera tale ambientazione risulta ancora particolarmente efficace.

Difatti i nostri Nemorino, Adina e Belcore sono gli studenti di una scuola d’arte americana di stampo anni Ottanta, ove Adina è una capricciosa ragazza pon pon che sa bene ciò che vuole ma si intenerisce di fronte al cuore tenero ed al sacrificio di Nemorino; costui è lo sfigatello di turno tutto paure e dolci sogni, che però tira fuori grinta e coraggio arruolandosi nella banda di teppisti di Belcore (in luogo dell’esercito previsto dal libretto), il quale è il classico bulletto sciupa femmine, pantaloni di pelle stretch e immancabile giubbotto, che ci richiama ai tanti artefici di episodi di bullismo di cui sentiamo ahinoi parlare oggigiorno. Poi c’è l’incredibile Dulcamara: un venditore di spinelli e false promesse che nel finto Elisir trova l’arma vincente per raggirare lo studente disperato e pronto a tutto per il cuore della sua bella; altro personaggio tipico della società odierna, che fa sorridere per quante ne combina in scena, persino quando viene arrestato nel finale, con un pizzico di amarezza. Insomma il libretto originale si fonde e si amplia con le idee registiche di Rosetta Cucchi, tra banchi di scuola, laboratori di pittura, sala mensa e luoghi similari, opera di Tiziano Santi, davanti alle enormi finestre che affacciano su una New York mutevole e sempre affascinante. Perfetti i costumi anni ’80 di Claudia Pernigotti.  

La recita a cui abbiamo assistito ha visto figurare come Nemorino un ispiratissimo Fabrizio Paesano: centrato è il ruolo del ragazzotto buono ed ingenuo, dalla voce pastosa, sottile e squillante. Adina è invece interpretata da Rocio Ignacio. Il giovane soprano punta molto su una interpretazione spigliata, fresca e a tratti sfacciata, come richiesto dal personaggio in questa regia, ma non sembra sostenuta da una voce duttile come ci aspetteremmo, che è invece spinta un po’ troppo in acuto e risulta spesso monocromatica. Di lusso il Dulcamara di Marco Filippo Romano: non solo fa ciò che vuole con la voce assecondando i vezzi e i lazzi del suo personaggio, ma è un incredibile animale da palcoscenico grazie al quale anche il pubblico poco attivo della serata ha riso di gusto. Il bulletto di quartiere è un ottimo Vittorio Prato, anch’egli parecchio sciolto e padrone della scena, forte di una voce ricca e squisitamente brunita. Elena Borin completa correttamente il cast di questa recita.

Potremmo definire piuttosto ‘sontuosa’ la direzione di Stefano Ranzani, che sostiene costantemente gli interpreti in scena, con piglio fermo e quasi austero, offrendo un suono ampio, profondo,  perfino sofisticato. 
Anche in questa prova il coro di Andrea Faidutti  ci è parso completare con precisione e ottima partecipazione lo spettacolo.

Successo pieno per tutti gli interpreti ed il direttore, anche se a nostro avviso il pubblico di questa rappresentazione è stato piuttosto freddino, considerando quanto invece dinamico e senza tregua sia lo spettacolo offerto.

Maria Teresa Giovagnoli

  

LA PRODUZIONE

Direttore
Stefano Ranzani
Regia
Rosetta Cucchi
Scene
Tiziano Santi
Costumi
Claudia Pernigotti
Luci
Daniele Naldi
Assistente alla regia
Stefania Panighini
Maestro del Coro
Andrea Faidutti

GLI  INTERPRETI

Adina
Rocio Ignacio
Nemorino
Fabrizio Paesano 
Belcore
Vittorio Prato 
Il dott. Dulcamara
M. Filippo Romano
Giannetta
Elena Borin


 Orchestra, Coro e tecnici del TCBO






Foto  Rocco Casaluci

Foto Fadil Berisha

DO RE MI…..PRESENTO – intervista a Saimir Pirgu

Oggi facciamo una bella chiacchierata con un giovane tenore albanese che ha letteralmente realizzato un sogno: quello di dedicare la sua vita alla musica ed al canto. Sono tantissimi i teatri internazionali in cui ha cantato, diretto dai più grandi direttori d'orchestra, tra cui citiamo Claudio Abbado, Riccardo Muti, Lorin Maazel, Daniele Gatti, Seiji Ozawa, Antonio Pappano, e la lista è ancora lunga. Una persona molto schietta, solare e con tanta voglia di arte nel cuore!

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LA FORZA DEL DESTINO, G. VERDI – TEATRO FILARMONICO DI VERONA, DOMENICA 13 DICEMBRE 2015





Nel giorno di Santa Lucia, nonostante le difficoltà economiche in cui versa la Fondazione Arena di Verona, si inaugura anche la stagione lirica 2015/16, che porta in scena al Filarmonico un allestimento de La forza del destino proveniente dalla Slovene National Opera and Ballet,dal sapore un po’ nostalgico della tradizione e squisitamente cinematografico. Il regista Pier Francesco Maestrini infatti decide di puntare tutto sulla forza narrativa del libretto, fin dallo spostamento dell’ouverture alla fine del primo atto, considerando dunque la morte di Calatrava una sorta di antefatto da separare con una ‘sigla’ dal resto dell’opera, cosa già accaduta in passato per chi si ispirò alla famosa trasposizione del libretto in tedesco operata da Franz Werfel negli anni Venti del secolo scorso. Grazie alle suggestive scene di Juan Guillermo Nova, dettagliatissime e ricche di particolari, possiamo gustare il dramma in ogni suo dettaglio, completato anche dalle proiezioni video sul pannello trasparente in proscenio, che non disturba ma integra perfettamente gli sfondi allestiti sul palco. Molto ricchi e curati i costumi di Luca Dall'Alpi. Di routine le coreografie di Renato Zanella per gli interventi dei primi ballerini della Fondazione Arena.


Lo spettacolo scorre via molto dinamico tra scoppi di armi da fuoco, fumo, incensi, lampi e quant’altro attiri l’attenzione del pubblico, richiamando gli interpreti a dare il massimo per coniugare al meglio il canto con l’interpretazione accorata dei diversi ruoli.
Walter Fraccaro, il seduttore Alvaro, ci è noto per la forza che imprime ai suoi personaggi dal carattere sanguigno e passionale, tuttavia tanta passione ci sembra talvolta mal dosata nel canto e causa di qualche imperfezione soprattutto nelle note di passaggio.

La fuggitiva compagna, dolce e coraggiosa Leonora, è una Hui Heforse un po’ emozionata ma che mostra di entrare nel ruolo sia vocalmente che dal punto di vista scenico con intelligenza e preparazione. I dolci filati, la rotondità della voce che spazia ampia nel suo registro e la sensibilità interpretativa sono le armi vincenti di un soprano di grande caratura che conquista ancora una volta una serata vincente.

Perfetto Dalibor Jenis come vendicativo Carlo di Vargas: espressività, canto sulla parola e colore squisitamente bruno della voce delineano un fratello forte, spietato, in una parola convincente.
Il duo Padre Guardiano e Fra Melitone è costituito da due interpreti fantastici: ottimo Simon Lim per autorevolezza, timbro vocale profondo ed imponente; spigliato, simpaticissimo e molto ben cantato il ruolo del frate vispo per un Gezim Myshketa in gran forma.

Spumeggiante e molto dinamica dalla voce duttile e frizzante, perfetta per il ruolo di Preziosilla, Chiara Amarù conquista meritatamente gran parte dei consensi della serata.
Completano il cast il marchese Calatrava di Carlo Cigni, e gli altri ruoli di contorno ben eseguiti di Milena Josipovic come Curra, il Mastro Trabuco di Francesco Pittari ed il doppio ruolo di Alcade e chirurgo di Gianluca Lentini.

Alla testa dell’orchestra della Fondazione Arena Omer Meir Wellber sceglie tempi coerenti alla narrazione pur con qualche leggero sfasamento col palco. Il suono è ricco e con una certa varietà di colori, particolarmente vivi nei momenti più drammatici. Molto validi gli interventi del coro areniano preparato dal Maestro Vito Lombardi.

Pubblico entusiasta con diverse chiamate alla ribalta ed ovazioni per tutti i protagonisti, la regia ed il direttore. Speriamo vivamente che spettacoli del genere, che vedono anche una folta partecipazione di pubblico, facciano capire a chi di dovere quanto importante sia il lavoro della Fondazione Arena per la città e non solo, e che possa proseguire la sua opera per tanto ancora nel tempo.

Maria Teresa Giovagnoli  



LA PRODUZIONE

Direttore d’orchestra                        Omer Meir Wellber
Regia                                                  Pier Francesco Maestrini
Scene                                                  Juan Guillermo Nova
Costumi                                             Luca Dall'Alpi
Coreografia                                       Renato Zanella
Primi ballerini                                  Alessia Gelmetti, Teresa Strisciulli, Amaya Ugarteche,
                                                           Evghenj Kurtsev, Antonio Russo


GLI INTERPRETI
Il marchese di Calatrava                Carlo Cigni
Donna Leonora, sua figlia              Hui He
Don Carlo di Vargas, suo figlio      Dalibor Jenis
Don Alvaro                                      Walter Fraccaro
Preziosilla, giovane zingara            Chiara Amarù
Il Padre guardiano                         Simon Lim
Fra Melitone                                   Gezim Myshketa
Curra, cameriera di Leonora        Milena Josipovic
Mastro Trabuco                             Francesco Pittari
Un alcade/Un chirurgo                  Gianluca Lentini

Direttore del corpo di ballo Renato Zanella
Direttore allestimenti scenici Giuseppe de Filippi Venezia
Maestro del Coro Vito Lombardi
Allestimento Slovene National Opera and Ballet
ORCHESTRA, CORO, CORPO DI BALLO E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA






Foto ENNEVI - Fondazione Arena di Verona




CONCERTO DI VERONA LIRICA, TEATRO FILARMONICO DI VERONA - DOMENICA 6 dicembre 2015




Concerto degli auguri di Natale quello programmato da Verona lirica per il mese di Dicembre che ha coinvolto il suo pubblico di associati per una raccolta fondi a favore dell'Associazione Oncologica Italiana Mutilati Della Voce.

Concerto travagliato nella gestazione che ha visto defezioni negli artisti precedentemente annunciati, ma che ha saputo regalarci come sempre quasi tre ore di buona musica.

Il concerto ha visto la presenza del soprano Maria Letizia Grosselli, del basso Mattia Denti, del tenore Rubens Pellizzari, del mezzosoprano Nino Surguladze e del Quartetto d'Archi dell' Arena di Verona composto da Gunther Sanin, Vincenzo Quaranta, Sara Airoldi e Luca Pozza diventato per l'occasione un quintetto con il pianista Roberto Corlianò.


Il concerto si è aperto con la lettura di un comunicato da parte dei lavoratori della Fondazione Arena preoccupati per il futuro della Fondazione in un momento difficile a causa anche di scelte gestionali non sempre felici effettuate nel passato. L'augurio anche da parte nostra, è che si possa risolvere in maniera coraggiosa e sensata una vertenza che vede coinvolte non solo le maestranze artistiche che vi lavorano ma anche la vita culturale dell'intera città di Verona.

Il Quartetto dell'Arena di Verona ha aperto le danze con l' esecuzione dell' Inno Nazionale Francese per non dimenticare i tragici attentati avvenuti a Parigi ed è proseguito con l'esecuzione del preludio dal Ballo in Maschera di Giuseppe Verdi nella trascrizione per quintetto da parte di Luca Pozza (come tutte le trascrizioni udite al concerto).

Nel corso poi del concerto è stato eseguito anche l'intermezzo di Manon Lescaut di Puccini e una parafrasi (pensata e suonata al solo piano dal Maestro Corlianò) dell'aria “Mon coeur s'ouvre a ta voix” dal Sanson di Saint-Saens, oltre ad accompagnare buona parte delle arie presentate dai cantanti.
Il Quartetto dell'Arena di Verona si è dimostrato compagine di estremo rigore artistico ed elevata qualità musicale, dimostrando ancora una volta l 'elevata professionalità che da sempre lo contraddistingue, vanto ed orgoglio della città di Verona.

Il basso Mattia Denti ci ha proposto arie da Nabucco (vieni o Levita), Mefistofele (Ecco il mondo), ed Ernani (Infelice! E tuo credevi).
Dotato di un bel timbro anche se un poco chiaro e leggero per affrontare la parti proposte in concerto, Denti ha le carte in regola per crescere senza problemi professionalmente non mancando di una tecnica corretta soprattutto nel fraseggio.

Il soprano Maria Letizia Grosselli, ha proposto brani da Tosca (Vissi d'arte), La Rondine (Chi il bel sogno) e Otello (Ave Maria).
Tecnica impeccabile, filati argentini e mezze voci curatissime sono gli assi nella manica di questa cantante che, nonostante qualche fibrosità nella parte alta del rigo e un'interpretazione a tratti approssimativa, ha saputo regalarci momenti veramente intensi e molto apprezzati dal pubblico.

Il tenore Rubens Pelizzari ha proposto brani da Das Lands des Laechelns (Tu che m'hai preso il cuor), Pagliacci (Vesti la giubba) e in coppia con Nino Surgulazde la prima scena del quarto atto di Aida.
Facilità all'acuto, fiati robusti, e bel timbro caldo fanno di Rubens Pellizzari un artista completo dalla schietta voce di tenore lirico. I notevoli successi che sta riscuotendo sui palcoscenici internazionali ne sono la conferma.

Il mezzosoprano Nino Surguladze, ben conosciuta al pubblico areniano per essere presenza fissa nel suo cartellone estivo, ha proposto Granada (nella versione originale per voce femminile di Augustin Lara), un canto tradizionale Georgiano (La faccia del sole) e in coppia con Pellizzari la prima scena del quarto atto di Aida.
Voce caldissima e ben proiettata in avanti senza mai utilizzare quella fastidiosissima voce di petto che contraddistingue molte sue colleghe, la Surguladze è artista completa nel senso più ampio del termine, sapendo coniugare bellezza stilistica della voce e controllo dei fiati. Auspichiamo di poterla risentire presto in ruoli di rilievo sui nostri palcoscenici.

Ha presentato il concerto con la consueta preparazione e ironia Davide da Como.

Al termine, tra le ovazioni del numeroso pubblico, saluti e auguri natalizi da parte di tutto il direttivo di Verona Lirica, al qual si aggiunge il nostro più sentito ringraziamento per la meritevole e ammirevole passione che contraddistingue il loro lavoro di appassionati divulgatori d' Opera.

Pierluigi Guadagni


A HAND OF BRIDGE (Barber)/ TROUBLE IN TAHITI (Bernstein) – Teatro comunale di Bolzano, venerdì 4 dicembre 2015





Dopo l’apertura a Trento con Così fan tutte di Mozart approda anche a Bolzano la stagione della Fondazione Haydn firmata dal neo giunto direttore artistico Matthias Lošek, il cui intento è di presentare grazie ai titoli in cartellone l’ironia della vita in tutte le sue sfaccettature, quasi a sottintendere che in fondo bisogna prenderla con filosofia, per quanto imprevedibile possa essere. Iniziando da un classico per eccellenza quale è l’opera mozartiana, la stagione prosegue invece con opere tratte dal repertorio del ventesimo e ventunesimo secolo, tanto da intitolare questo progetto proprio ‘Opera 20.21’. In scena dunque a Bolzano un curioso dittico proveniente dall’opera di Lipsia che vede succedersi senza soluzione di continuità il brevissimo  A hand of bridge di Samuel Barber affiancato dallo scorrevole e piacevolissimo Trouble in Tahiti, atto unico di Leonard Bernstein anche in veste di librettista. Le due storie costituiscono uno spaccato dello stile di vita americano anni Cinquanta del secolo scorso, ove il boom economico ed il crescente consumismo hanno sì creato tante famiglie benestanti ed apparentemente felici e soddisfatte, ma tanto benessere ha spesso nascosto, allora come oggi, anche insoddisfazioni profonde, amarezze ed incomprensioni. Gli interventi del Trio Jazz nella seconda opera sdrammatizzano e se vogliamo ridicolizzano certi falsi miti, tra cui la fantastica vita in campagna.


Con una soluzione scenica piuttosto intimistica, il regista Patrick Bialdyga ha pensato di fare accomodare il pubblico direttamente sul palcoscenico, circondando la scena centrale creata da Norman Heinrich, costituita da una pedana girevole divisa in quattro zone, atte ad ospitare le diverse scene previste. Una enorme radio dietro cui si cela l’orchestra fa da sfondo ed anche sipario alle entrate dei protagonisti e funge da palchetto per il trio jazz, che simpaticamente ricorda personaggi/icone americane tra cui spicca la voce femminile in stile Marilyn dal tipico abito di ‘Quando la moglie è in vacanza’. La regia è coadiuvata per l'aspetto drammaturgico da Johanna Mangold ed impegna molto i personaggi in scena anche fisicamente: ciascuno mostra a chiare lettere le fissazioni ed i tratti tipici di queste coppie borghesi in crisi.

I soli dieci minuti di A hand of bridge bastano ad addentrarsi nei pensieri delle prime due coppie protagoniste, con sopra tutti l’ottima Geraldine di Jennifer Porto, che rimpiange un rapporto mai avuto con la madre, gioca di gusto con la voce e l’ espressività del volto muovendosi con estrema disinvoltura. Suo marito David è un buon Toby Girling, uomo depresso che vorrebbe di più dalla vita. Sally, la brava Sandra Maxheimer, mostra con fare realmente ossessivo la sua fissazione per il cappello di piume ed è anche una deliziosa Girl nel Trio jazz; il consorte Billy è il classico infedele che teme di essere scoperto, un Patrick Vogel che altrettanto si disimpegna bene come Boy del Trio jazz. 

In Trouble in Tahiti Dinah e Sam conducono una vita ormai stereotipata che si articola in momenti ben stabiliti, spesso alleggeriti solo dall'andare al cinema (il titolo è appunto ispirato ad un film amato dalla povera Dinah). Gli interpreti sono ancora una volta Jennifer Porto e Toby Girling, sempre più espressivi e smaliziati. Felix-Tillmann Groth completa il Trio Jazz che come detto stempera con leggerezza le piuttosto noiose vicende della coppia in scena.
Complessivamente, pur non potendo esprimerci sullo spessore vocale degli interpreti perché microfonati, i giovani protagonisti offrono tutti delle voci molto piacevoli e secondo noi particolarmente adatte a questo genere, che spazia dal jazz puro al moderno musical.

Lo spettacolo è interamente in tedesco, debitamente sottotitolato in italiano, e si apre con video interviste, per la verità un po’ stucchevoli, di varie tipologie di coppie moderne che rappresentano i più tipici cliché amorosi, tra sdolcinerie varie e piccole scaramucce solo accennate. Le stesse compaiono più volte nel corso di tutta la rappresentazione, come se le due storie fossero l’una il seguito dell’altra, o semplicemente una serie di quadri famigliari posti a confronto ed interazione tra loro. Tant’è che la coppia Sally - Bill sembra comparire anche successivamente tra le elucubrazioni esotiche di Dinah e Sam.

L’orchestra Haydn è condotta con brio dal Maestro Anthony Bramall, che gli interpreti hanno potuto seguire solo attraverso i video posti sulla scena, esaltati da ritmi incalzanti e dal suono particolarmente brillante negli interventi del trio jazz di Trouble in Tahiti.  

Applausi calorosi per tutti e naturalmente per l’orchestra che ha sfilato al termine sul palco col suo direttore per raccogliere i meritati consensi.

Maria Teresa Giovagnoli

LA PRODUZIONE

Direzione musicale               Anthony Bramall
Regia                                      Patrick Bialdyga
Coreografia                           Friedrich Bührer
Scene, costumi                      Norman Heinrich
Drammaturgia                      Johanna Mangold

GLI INTERPRETI

Geraldine/Dinah                   Jennifer Porto
Sally/Girl in Jazz-Trio         Sandra Maxheimer
David/Sam                            Toby Girling
Bill/Boy in Jazz-Trio            Patrick Vogel
Boy in Jazz-Trio                   Felix-Tillmann Groth

Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Coproduzione  Oper Leipzig, Fondazione Haydn Stiftung







Foto  Luca Ognibeni

ANNA BOLENA, GAETANO DONIZETTI – TEATRO DONIZETTI DI BERGAMO, DOMENICA 29 NOVEMBRE 2015





Edizione critica a cura di Paolo Fabbri
Ricordi, Fondazione Donizetti, Edizione Nazionale delle opere di Gaetano Donizetti

La figura di Anna Bolena rappresenta da sempre nell’immaginario collettivo colei che usurpò con l’astuzia e gli appoggi giusti il trono della impareggiabile Caterina d’Aragona, prima e secondo molti all’epoca unica legittima moglie di Enrico VIII d’Inghilterra, benedetta da Dio e dal popolo. Senza soffermarci su questioni politiche ed interessi internazionali che guidarono le scelte reali inglesi nel ‘500, è anche vero che la volubilità del grande Enrico in fatto di mogli è storia nota, ma soprattutto  la sua irrefrenabile missione di generare un erede maschio lo tormentò fino alla fine dei suoi giorni, facendone quasi una malattia. La Anna Bolena di Donizetti è ormai già una figura in ombra (quasi da non credere che grande regina sarà poi sua  figlia Elisabetta), nonché mesta se pur mai arrendevole al cospetto del re, che ormai  ha già posato gli occhi sulla dolce Giovanna Seymour, futura terza moglie ed unica tra l’altro a dargli l’agognato figlio maschio (che come si sa non sopravvisse a lungo).

Ecco dunque che il regista Alessandro Talevi è partito proprio da qui per immaginare la sua Bolena: l’oscurità regna sovrana nelle scene di Madeleine Boyd i cui costumi sono anch’essi scuri e quasi si confondono con le pareti; le luci di Matthew Haskins sottolineano allo stesso modo questo senso di oppressione che sovrasta tutti i protagonisti, che per volere del regista agiscono intorno e sopra ad una pedana girevole simbolo della famosa ruota del destino, in un palco ove solo qualche elemento essenziale incornicia azioni molto semplici, perché sia la parola immersa nella musica di Donizetti ad esprimere sentimenti e pulsioni, molto più delle immagini.
Grande orgoglio della fondazione Donizetti l’aver eseguito per la prima volta l’edizione critica definitiva a cura di Paolo Fabbri, che ha visto impegnata una compagnia di canto molto affiatata nei ruoli principali esaltati, è d’obbligo sottolinearlo, da una direzione magnifica che non dimenticheremo.

Nel ruolo eponimo ha debuttato una Carmela Remigio davvero in gran forma. È riuscita ad imprimere allo stesso tempo forza e disperazione al suo personaggio ma senza esasperarne il carattere dal punto di vista vocale, delineando dunque una Bolena quasi incredula della sorte sopraggiunta, ma sempre orgogliosa e fiera fino alla fine.

Le fa da contraltare la Giovanna di Sofia Soloviy, la cui voce un po’ dura forse poco si addice al ruolo della donna innamorata e dilaniata tra senso di colpa nei confronti della sua regina e l’allettante prospettiva di un futuro come sua sostituta. Il canto però è corretto come pure molto buona la presenza in scena.

Debutto felice anche per Alex Esposito come Enrico: stupisce la cattiveria mostrata in scena in perfetto accordo con l’oscurità d’animo richiesta dal regista. La sua voce qui si piega ai dettami della partitura risultando ancora più profonda, quasi cavernosa e sempre precisa, ottimo fondamento per una interpretazione a tuttotondo quale un animale da palcoscenico come il cantante bergamasco sa offrire sempre.

Suo rivale, che si batte invece per la salvezza di Bolena, è il Percy di Maxim Mironov. Il vibrato molto stretto e la non volumetrica voce potrebbero penalizzare questo giovane interprete che invece mostra di possedere tutte le note che tempestano la sua parte mostruosamente acuta. Inoltre il suo personaggio suggerisce una interpretazione piuttosto dimessa, ma che in sala ha ricevuto parecchi consensi.

Tutt’altro che dimesso il fratello della sventurata protagonista, Gabriele Sagona è un ottimo e disinvolto Lord Rochefort , già ascoltato ed apprezzato in ruoli accorati di questo calibro, cui la voce penetrante e sinuosa pare offrire ottimo terreno fertile per una eccellente resa scenica.

Intensa ed appassionata Manuela Custer comeSmeton: sia l’espressione del volto che la voce intensa ed uniforme in tutta la gamma le attribuiscono un carattere compassionevole, sinceramente innamorato e dove occorre ingenuo, nel contribuire alla condanna della sua amata. Un ruolo per interpreti di grande esperienza come è certamente il mezzosoprano.  Chiude il cast un buon Sir Hervey correttamente interpretato da Alessandro Viola.

Dulcis in fundo sottolineiamo la colonna portante della spettacolo: la direzione orchestrale di Corrado Rovaris . Fa molto piacere affermare che questo capolavoro di quasi quattro ore di musica sia scivolato via lasciando addirittura la voglia di sentire altro ancora. La fluidità del gesto è corrisposta ad una esecuzione non solo scorrevole, ma delicata e puntuale fra tutte le sezioni con una incredibile profondità di suono. Le aperture, gli appoggi sulle note, l’attenzione ai minimi dettagli; tutto ha contribuito a creare una atmosfera emozionante ed indimenticabile.  

Teatro letteralmente preso d’assalto come ai tempi d’oro di recente memoria, con trionfo per la coppia protagonista, gli altri interpreti e naturalmente per il direttore d’orchestra. Oltre dieci minuti di applausi e numerose chiamate alla ribalta. Una grande e felicissima produzione per la Fondazione Donizetti.

Maria Teresa Giovagnoli   


LA PRODUZIONE

Maestro concertatore           Corrado Rovaris
e Direttore d’orchestra
Regia                                      Alessandro Talevi
Scene e costumi                     Madeleine Boyd
Luci                                        Matthew Haskins
Coreografia                           Maxime Braham
Assistente alla regia              Pamela Recinella
Maestro del coro                   Fabio Tartari

GLI INTERPRETI

Enrico VIII                           Alex Esposito
Anna Bolena                         Carmela Remigio
Lord Rochefort                     Gabriele Sagona
Giovanna Seymour              Sofia Soloviy 
Lord Riccardo Percy           Maxim Mironov 
Smeton                                  Manuela Custer
Sir Hervey                             Alessandro Viola 

Produzione Fondazione Donizetti
Allestimento della Welsh National Opera di Cardiff
Orchestra I Virtuosi Italiani
Coro Donizetti








Foto Gianfranco Rota
Gianfranco Rota
Gianfranco Rota

Marco-Angius---Foto-Silvia-Lelli

INTERVISTA A...MARCO ANGIUS

Oggi incontriamo con molto piacere il Maestro Marco Angius, tra i direttori d’orchestra di riferimento per il repertorio contemporaneo, recentemente nominato direttore artistico e musicale della OPV, Orchestra di Padova e del Veneto. Ci ha raccontato della sua carriera internazionale che lo ha portato a dirigere nei teatri più prestigiosi del mondo e con le più grandi orchestre, unitamente agli interessanti progetti paralleli che con tanta soddisfazione ottengono sempre grandi consensi.

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leonora-Armellini

DUE DOMANDE A LEONORA ARMELLINI IN OCCASIONE DEL CICLO DI CONCERTI CON LA FORM

Abbiamo incontrato qualche mese fa la giovane pianista Leonora Armellini per approfondire la sua conoscenza e complimentarci con lei della sua carriera davvero in grande ascesa in teatri sempre più prestigiosi. La ritroviamo con piacere in occasione della tournée che sta effettuando con la FORM, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana, dedicata ai concerti di Beethoven, che proseguirà a dicembre, per parlare proprio del grande compositore con lei e dei progetti nel prossimo futuro.

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IDOMENEO, W.A. MOZART – TEATRO LA FENICE DI VENEZIA, VENERDI’ 20 NOVEMBRE 2015




La stagione lirica 2015/16 del Teatro La Fenice di Venezia ha aperto le sue porte con una nuova produzione dell’Idomeneo di Mozart, opera monumentale per durata e temi trattati, prima in ordine di tempo della serie di celeberrimi capolavori che caratterizzarono la carriera e la cifra stilistica propria del compositore. L’opera che vide anche il supporto morale di papà Leopold nella sua stesura musicale, è incentrata proprio sull’amore paterno, qui in conflitto con il volere degli dei ed il dovere di un uomo di stato nei confronti del suo popolo.   


Tali riflessioni hanno portato il regista Alessandro Talevi a trovare una corrispondenza tra le antiche gesta del popolo greco in conflitto con Troia e le vicissitudini storico/politiche di ogni luogo e tempo, creando una sorta di ambientazione mista tra classico e contemporaneo in cui poter identificare ed attualizzare i contenuti del dramma a seconda del proprio vissuto e di ciò che accade intorno a noi nel mondo. Ciò che tuttavia riscontriamo è una serie di immagini flash indefinite in ambientazioni di dubbio gusto che non ci permettono di entrare a fondo nelle vicende narrate, né francamente di trovare una collocazione concreta a quanto posto in scena. Innanzitutto l’azione è alquanto statica o comunque priva di vero pathos: i protagonisti non sembrano avere una direzione drammaturgica ben definita e spesso si lasciano trasportare più dal proprio vissuto che da una più giusta aderenza ai versi. Idomeneo stesso risulta più un uomo in preda ad isterismi che un regale condottiero in profonda crisi con la sua coscienza politica e morale, le due principesse in lotta per l’amore di Idamante non trasmettono quella forza eroica che le donne del classicismo e delle leggende greche da sempre offrono a chi si avvicini ai loro personaggi.

Piuttosto fumosa è la messa in scena curata da Justin Arienti: citiamo per esempio la specie  di laboratorio scientifico o museo con teche contenenti resti imprecisati e parti animali appese un po’ ovunque come oggetto di studio o reperto, sotto lo sguardo vigile della statua di Nettuno ed innanzi al quale siamo quasi distratti dalla figura di Ilia struggentesi per il suo destino di prigioniera; una doppia fila di cenci logori e sporchi di sangue appesi in mezzo al vuoto ci appare una soluzione troppo semplicistica se lo scopo era richiamare alla mente la tragedia di corpi straziati da sanguinose battaglie; la stessa statua di Nettuno sembra posta un po’ a caso qua e là sul palco piuttosto che trovare una sua funzione scenica specifica.     
Anche i costumi di Manuel Pedretti non sono particolarmente affascinanti, di stampo classico e un po’ kitsch per le fanciulle, dai tratti contemporanei per gli uomini, con acconciature indefinibili per i capelli. Non commentiamo i costumi in paillettes dai colori vivaci dei ballerini, a nostro avviso completamente fuori luogo. 

Non ci sorprende che la compagnia di canto non abbia espresso il meglio di sé per taluni elementi, ma in generale la parte musicale è stata la migliore dello spettacolo. Innanzitutto degna di lode la conduzione di Jeffrey Tate, con cui l’orchestra della Fenice trova una profondità di suono e una certa eleganza nel gestire i momenti culmine della partitura; il capolavoro mozartiano risulta solenne ma mai pesante, gli interpreti sono accompagnati e sostenuti per tutto il lungo spettacolo.

La figura di Idomeneo è un grintoso Brenden Gunnellche, pur nella non perfettissima pronuncia italiana, offre come detto una interpretazione molto marcata del sovrano cretese, gestendo il ruolo con forza forse anche eccessiva, che però cattura il pubblico entusiasta a fine recita.

Monica Bacelli come figlio Idamante, ha voce piena soprattutto nei centri che le facilitano l’interpretazione del personaggio maschile; a nostro avviso è la più convincente in scena, con ben chiaro il ruolo del principe dal cuore innamorato ma anche pronto al sacrificio con decisione.

Più dimessa la Ilia di  Ekaterina Sadovnikova che canta più in sordina e da’ l’impressione di avere qualche problemino contingente, manifestato anche da qualche colpetto di tosse, che però non toglie quanto lineare e dal bel colore sia la sua voce, forse sacrificata dal personaggio poco sviluppato come detto dal punto di vista scenico.

Manca di spessore drammatico anche la Elettra di Michaela Kaune, anch’ella partita con determinazione, ma poi non ci convince nella temibile aria ‘D’Oreste, d’Aiace’, cantata sì con grinta ma senza il pathos del tormento.

Anicio Zorzi Giustinianiè un corretto Arbace dalla voce morbida e delicata, discreto il sommo sacerdote di Krystian Adam; timbro profondo ed intenso per Michail Leibundgutla cui voce ci è parsa però amplificata.

Puntuale come sempre il magnifico coro diretto dall’impeccabile Claudio Marino Moretti, che in quest’opera offre momenti di lirismo spettacolare che non risparmia gli animi sensibili.
Applausi convinti e partecipi per tutti gli interpreti, il direttore e l’equipe registica, anche se il teatro non ha registrato il consueto tutto esaurito.

Lo spettacolo è stato anticipato da un breve discorso del Primo cittadino Brugnaro in ricordo della studentessa veneziana Valeria Solesin, vittima delle recenti stragi di Parigi, e dall’esecuzione dell’inno italiano e francese dopo un minuto di silenzio in ricordo di tutte le vittime del terrorismo internazionale. 


Maria Teresa Giovagnoli


LA PRODUZIONE

direttore            Jeffrey Tate
regia 
                  Alessandro Talevi
scene 
                  Justin Arienti
costumi 
             Manuel Pedretti
disegno luci 
     Giuseppe Calabrò
movimenti
coreografici       Nikos Lagousakos
maestro
del Coro             Claudio Marino Moretti

GLI  INTERPRETI

Idomeneo           Brenden Gunnell
Idamante 
          Monica Bacelli
Elettra 
              Michaela Kaune
Ilia 
                      Ekaterina Sadovnikova
Arbace 
              Anicio Zorzi Giustiniani
Il sommo 
sacerdote
di Poseidone     Krystian Adam
La voce
dell’oracolo      Michail Leibundgut

Orchestra e Coro del Teatro La Fenice


nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice
col sostegno del Freundskreis des Teatro La Fenice

sopratitoli in italiano e inglese


 
    



FOTO MICHELE CROSERA

TOSCA, GIACOMO PUCCINI - NEW NATIONAL THEATRE TOKYO, MARTEDI' 17 NOVEMBRE 2015





Il Teatro Nazionale di Tokyo si conferma come una delle massime istituzioni a livello mondiale per gli spettacoli d'opera lirica al pari dei teatri più blasonati, per qualità e quantità di spettacoli proposti.
Tosca è titolo che non ha bisogno di presentazioni essendo una delle opere più rappresentate al mondo, ed è opera che arriva dritta al cuore.
Musica di sangue e di cuore appunto quella scritta da Puccini per un racconto dove la passione, sia politica che d'amore, è vera, autentica, e porta a compiere gesti anche estremi, necessitando di interpreti che sappiano coglierne senza la minima esitazione tutto il coinvolgimento emotivo a sé insito.


L'allestimento visto a Tokyo si conferma di altissima qualità sia per la scelta degli interpreti musicali che per i responsabili dell'allestimento.
Il compianto Antonello Madau Díaz, ha pensato ad un lavoro tradizionale, nell'accezione più felice possibile per questo termine, sia per impostazione scenica che per studio sui movimenti, presentando un lavoro che  appaga infinitamente per aderenza alle indicazioni degli autori. Il lavoro svolto da Madau Diaz, qui ripreso con estrema precisione da Taguchi Michiko, si fa apprezzare  soprattutto per l'estrema coerenza con il dettato del libretto, senza aggiungere nulla di superfluo o di incoerente che possa disturbare il pieno godimento dello spettacolo.

Di estrema bellezza le scene di Kawaguchi Naoji, grazie anche agli apparati tecnici del Teatro Nazionale di Tokyo e alle felicissime luci di Yohukata Yasuo, si distinguono per la spettacolarità della prospettiva scenica dove ogni minimo dettaglio, dagli affreschi di Sant'Andrea della Valle, alle carceri di Castel Sant'Angelo, è curato con maestria certosina d'altri tempi, regalandoci due autentici coupe de théâtre alla fine del primo atto, dove la prospettiva visiva viene stravolta al momento del Te Deum, e nel terzo atto dove il carcere di Cavaradossi, sprofonda nel palcoscenico per lasciare spazio e visione della terrazza di Castel Sant'Angelo. Curatissimi anche i costumi di Pier Luciano Cavallotti, coerenti con la linea tradizionale dello spettacolo.

Dal punto di vista musicale, lo spettacolo visto a Tokyo ha presentato una compagnia di canto di primissimo ordine. Nel ruolo del titolo troviamo Maria José Siri, interprete finissima per capacità di aderenza fisica e musicale con il suo personaggio. La Siri ha vocalità superba negli accenti come nel fraseggio, perfetta nella tenuta vocale, soprattutto nella parte alta del rigo, non si risparmia un solo istante per rendere quanto più possibile credibile la sua parte. Abbiamo particolarmente apprezzato la sua interpretazione del secondo atto conclusa con un intensa esecuzionione di "vissi d'arte" che ha strappato al termine una autentica ovazione da parte del pubblico.

Non da meno è stato il Cavaradossi di Jorge De Leon, credibilissimo nel personaggio del giovane amante di Tosca, ha voce calda dagli acuti facilissimi che strappa più volte l'applauso del pubblico a scena aperta.
Autentico fuoriclasse Roberto Frontali nel ruolo di Scarpia, ha reso il suo personaggio con autentica capacità espressiva senza mai cadere però nella facile scorciatoia dell'eccesso truce fine a se stesso, rimanendo sempre nei confini della coerenza musicale.

Menzione merita il sagrestano di Shimura Fumihiko per il suo ruolo da autentico caratterista e per le corretta dizione italiana.
Corretti nelle loro parti lo Sciarrone di Otsuka Hiroaki, lo Spoletta di Matsuura Ken, l'Angelotti di Onuma Toru, il Carceriere di Animoto Ken e il pastore di Maekawa Yoriko.

Eivind Gullberg Jensen a capo della Tokyo Philarmonic Orchestra dirige con gesto energico e deciso un' orchestra che brilla per precisione e coesione anche se manca a volte quell’ abbandono lirico, indispensabile in una partitura quale quella di Tosca.

Positivi gli interventi del New National Theatre Chorus e del  TOKYO FM BOYS CHOR diretto da Misawa Hirofumi.

Successo caloroso per tutti da parte di un pubblico entusiasta.
Pierluigi Guadagni

LA PRODUZIONE

Direttore           Eivind Gullberg Jensen
Produzione   
         Antonello Madau Diaz
Scene             
         Kawaguchi Naoji
Costumi                     Pier Luciano Cavallotti
Luci                            Okuhata Yasuo
Revival Director    Taguchi Michiko
Stage Manager       Saito Miho

Gli Interpreti
Tosca                       Maria José Siri

Cavaradossi
            Jorge De Leon
Scarpia
                   Roberto Frontali
Angelotti
                 Onuma Toru
Spoletta
                   Matsuura Ken
Sciarrone
                Otsuka Hiroaki
Il Sagrestano
          Shimura Fumihiko
Carceriere              Akimoto Ken
Un Pastore                 Maekawa Yoriko

Chorus Master  MISAWA Hirofumi 
Chorus New National Theatre Chorus
Children Chorus  TOKYO FM BOYS CHOR
Orchestra
 Tokyo Philharmonic Orchestra
Artistic Director  IIMORI Taijiro






Photo:TERASHI Masahiko/New National Theatre,Tokyo





ELEKTRA, RICHARD STRAUSS – TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA, MARTEDI’ 17 NOVEMBRE 2015







La scelta se vogliamo un po’ rischiosa del Comunale di Bologna di portare in scena un’opera non esattamente popolare come la Elektra di Richard Strauss risulta decisamente premiata dallo spettacolo straordinario cui abbiamo assistito, grazie alla produzione in collaborazione col teatro de La Monnaie / De Munt di Bruxelles ed il Gran Teatro de Liceu di Barcellona.
La tragedia della principessa Elektra, rielaborata dal colto poeta Hofmannsthal, che si avvicinò ad inizio secolo scorso anche agli studi sull’isteria umana, spesso è definita come la versione femminile dell’Amleto Shakespeariano e trova nella musica di Strauss una incredibile suggestione nata da chi evidentemente non solo è in stretta sintonia col librettista, ma subisce il fascino dei suoi contenuti e ne resta talmente coinvolto da coglierne l’essenza di cui intingere la partitura fino al midollo. E’ questa un’opera di grandi duetti musicali: quello tra Elektra e sua sorella, carico di tensione drammatica ma anche affettiva, tra la stessa principessa e sua madre: un incontro scontro tra due potenze che si odiano pur se unite dallo stesso sangue; ed il meraviglioso duetto tra Oreste ed Elektra stessa, che raggiunge il culmine nella scena dell’agnizione, unico momento se vogliamo di vero lirismo.


Per il regista  Guy Joosten è importante spogliare di mero classicismo i contenuti dell’opera per riportarli sostanzialmente alla pura e semplice realtà, che potrebbe essere quella a noi contemporanea, in cui di massima centralità è chiaramente il personaggio di Elektra intorno a cui tutto ruota anche scenicamente. L’impianto visivo fisso, fatto salvo un piccolo spostamento in verticale nel finale, è una specie di scantinato/prigione concepito da Patrick Kinmonth, sottostante il palazzo reale, ove è rinchiusa la protagonista e gli interpreti principali sembrano come avvolti in un mondo irreale, mentre le ancelle e gli altri personaggi di contorno paiono essere i sani di mente preposti alla sorveglianza ed al controllo, come farebbero pensare anche i costumi di questi ultimi dal taglio contemporaneo e militaresco, in opposizione a quelli classici della famiglia di Elektra, cui è lasciata solo una chaise longue dorata a rimembrarle le sue antiche stanze. Le scene si susseguono senza tregua per gli interpreti che il regista coinvolge infatti in movimenti continui, scontri anche corporali, insomma li carica di una dinamicità che non lascia quasi tregua.

Complice la conduzione del Maestro Lothar Zagrosek, l’orchestra del Comunale ha mantenuto sempre molto alta la tensione musicale, non solo con ritmi serrati che assecondassero la dinamicità degli eventi, ma caricando anche di profondità ed ampiezza un suono altamente drammatico e comunque intriso di emozione.

Alta dunque la tensione per tutto lo spettacolo sì da impegnare profondamente dal punto di vista emotivo la compagnia di canto che ne esce a testa alta in generale per tutti gli interpreti. Di grande partecipazione emotiva è la Elektra di Elizabeth Blancke-Bigg, la cui voce non particolarmente squillante si presta a sottolineare il lato scuro della personalità del ruolo. Presenza scenica di indubbio carisma, il soprano è una principessa forte, non solo folle di voglie vendicative, ma a tratti anche vaga immagine della fanciulla che un tempo adornava i suoi capelli ed amava gli abiti eleganti.

Più eterea la voce della sorella impersonata da Sabina von Walther, anch’ella chiamata ad affrontare sia vocalmente che fisicamente non poche difficoltà in scena, risolte con una interpretazione tesa, accorata. Chiude la triade femminile principale una volitiva e dinamica Natascha Petrinsky, abile tanto in scena quanto vocalmente, causa e vittima delle sofferenze filiali e qui non vista solo come la solita vecchia megera.

Thomas Hall è un Oreste che oscilla tra l’amore per la sorella e la perplessità nel fronteggiare il suo stato mentale, forte e deciso a compiere la vendetta acclamata dalla principessa, il baritono offre una generosa e quanto mai sentita interpretazione vocale.  Egisto è un Jan Vacik forse meno coinvolgente rispetto ai suoi colleghi, ma già la sua parte è certamente meno significativa;  

Nella folta schiera dei comprimari segnaliamo le cinque ancelle di Constance Heller, Alena Sautier (anche confidente), Daniela Denschlag, Eleonora Contucci (anche ancella dello strascico), Eva Oltiványi , un buon precettore di Oreste, Luca Gallo, il giovane servo  Carlo Putelli e la sorvegliante, anch’ella dalla spiccata personalità, Paola Francesca Natale.

Il coro preparato da Andrea Faidutti gestisce al meglio i suoi interventi come sempre.

Nonostante la sala non fosse piena, il pubblico ha salutato con molte ovazioni la protagonista ed in generale tutti gli interpreti ed il direttore d’orchestra; un bel successo che come dicevamo premia gli sforzi di ampliare il cartellone con titoli più coraggiosi e a nostro avviso di grande impatto emotivo.

Maria Teresa Giovagnoli


LA PRODUZIONE

Direttore
Lothar Zagrosek
Regia
Guy Joosten
Scene e costumi
Patrick Kinmonth
Luci
Manfred Voss
Assistente alla regia
Wolfgang Gruber
Maestro del Coro
Andrea Faidutti

GLI  INTERPRETI

Elektra

Elizabeth Blancke-Biggs
Klytämnestra
Natascha Petrinsky
Chrysothemis

Sabina von Walther
Aegisth
Jan Vacik
Orest
Thomas Hall
Pfleger des Orest (Precettore di Oreste) / Ein alter Diener
Luca Gallo
Die Vertraute (La confidente) / Zweite Magd
Alena Sautier
Die Schleppträgerin (Ancella dello strascico) / Vierte Magd
Eleonora Contucci
Ein junger Diener (Giovane servo)
Carlo Putelli
Die Aufseherin (La sorvegliante)
Paola Francesca Natale
Erste Magd
Constance Heller
Dritte Magd
Daniela Denschlag
Fünfte Magd
Eva Oltiványi

  
Allestimento Teatro Comunale di Bologna
da Théâtre de La Monnaie / De Munt Bruxelles
e Gran Teatro de Liceu Barcelona

Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Comunale di Bologna





Foto Rocco Casaluci

TRISTAN UND ISOLDE, RICHARD WAGNER - TEATRO COMUNALE LUCIANO PAVAROTTI DI MODENA, DOMENICA 15 NOVEMBRE 2015



Noch losch das Licht nicht aus,
noch ward's nicht Nacht im Haus:
Isolde lebt und wacht;
sie rief mich aus der Nacht.

Ancora la luce non si è spenta,
ancora non s'è fatto notte in casa;
Isolda vive e veglia,
ella m'ha richiamato dalla notte.


Opera musicale di profondi cambiamenti, a partire da quell' inestricabile accordo iniziale non risolto che ha aperto una profondissima crepa iniziando a demolire in maniera inesorabile l'intero sistema tonale, Tristan und Isolde di Richard Wagner è un lavoro che richiede sforzi immani di esecuzione.

Nel 150° anniversario della sua creazione, il teatro Comunale di Modena, unica realtà in Italia, ha pensato bene di proporre alla sua città e per la prima volta nel suo teatro (era ora...) il capolavoro wagneriano rischiando non poco sulla resa artistica e sulla risposta di un pubblico da sempre abituato a ben altri titoli.


Proveniente dal Teatro di Stato di Norimberga, l'allestimento pensato da Monique Wagemakers  con le scene “spaziali” di Dirk Becker e gli anonimi costumi di Gabriele Heimannè tutto sommato di impianto tradizionale se si esclude l'ambientazione atemporale, e la regia si limita a non creare danni rasentando spesso la banalità e il torpore in un lavoro che deficita sicuramente di azione scenica tout court, ma che permette di osare con la fantasia. Fantasia che manca alla Wagemakers, dove la staticità e la rigidità fisica sono la sua chiave di lettura. Lettura che tocca pericolosamente il ridicolo soprattutto nel grande duetto d'amore del secondo atto, cantato quasi per intero dai due interpreti mano nella mano immobili al proscenio come due scolaretti alla recita di fine anno; o nel finale ultimo, dove un Tristano resuscitato, abbraccia dal di dietro una Isotta allibita allargandole le braccia verso un futuro radioso.

La compagnia di canto presentava un preparatissimo Vincent Wolfsteiner  nel ruolo di Tristano, vera voce di Heldentenor dalla tenuta impeccabile e dal colore molto chiaro, ha saputo conferire al suo personaggio credibilità musicale (molto più che scenica...non possedendo esattamente il fisico del giovane guerriero) non comune per tenuta e perfetto controllo di quei fiati che nell'economia della sua parte permettono di arrivare incolumi allo scoglio del terzo atto, cantato senza risparmio di voce e interpretazione.

Molto al di sotto delle aspettative Claudia Iten, una Isolde che si mostra affaticata nella voce già al termine del primo atto, spingendo oltre il limite delle sue capacità una vocalità che manca di armonici e volume, risultando totalmente inespressiva per un ruolo che richiede grande partecipazione emotiva e capacità di modulazione. Il suo Liebestod è portato a termine con estrema fatica e senza la minima partecipazione.

Molto bene il Kurwenal di Jochen Kupfer, capace di finezze vocali non comuni in un ruolo che si sviluppa al meglio nel terzo atto, sofferto e partecipato senza fare ricorso ad un declamato eccessivo.

Anche la prova di Alexey Birkus quale Konig Marke è notevole, nonostante la mancanza di quella ieraticità richiesta in un ruolo di vecchio re sofferente, la voce è possente negli accenti come capace di morbidezze paterne.

Svetta su tutti la Brangaene di Roswitha Christina Müller per freschezza, bellezza e sicurezza di voce che nel concertato che chiude il primo atto copre spesso addirittura la voce di Isolde per potenza e squillo.

Corretti il Melot di Javid Samadov, anche se dal colore della voce troppo scura per il suo personaggio, il timoniere di Romano Franci, il pastore e la voce di un giovane marinaio di Kwonsoo Jeon. .

Marcus Boschalla guida della Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna si limita a far eseguire correttamente ciò che è scritto in partitura, escludendo un dolorosissimo taglio nel duetto del secondo atto, ed è già molto. Se si escludono i preludi del primo e del terzo atto, dove si è notata una minima concertazione, il resto dell'opera è scorso via senza un particolare coinvolgimento emotivo in una partitura che è la quintessenza del cromatismo.

Il Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena preparato da Stefano Colò fa il suo intervento alla fine del primo atto con precisione.

Applausi entusiasti per tutti da parte di un teatro esaurito in ogni ordine di posti fino alla fine della recita.

Pierluigi Guadagni

LA PRODUZIONE
Direttore                    Marcus Bosch
Regia                          Monique Wagemakers
Scene                          Dirk Becker
Costumi                     Gabriele Heimann
Drammaturgia          Sonja Westerbeck
Maestro del coro       Stefano Colò


GLI INTERPRETI

Tristan                       Vincent Wolfsteiner
König Marke             Alexey Birkus
Isolde                         Claudia Iten
Kurwenal                   Jochen Kupfer
Melot                          Javid Samadov
Brangäne                   Roswitha Christina Müller
Un pastore /               Kwonsoo Jeon
Voce di un giovane marinaio            
Un timoniere             Romano Franci

Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna
Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena 
Progetto e allestimento dello Staatstheater Nürnberg
Ripresa della Fondazione Teatro Comunale di Modena
in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Ferrara




Foto Teatro Pavarotti Modena

DIE ZAUBERFLÖTE, W. A. MOZART – TEATRO FILARMONICO DI VERONA, DOMENICA 08 NOVEMBRE 2015







Si conclude la stagione 2014/15 al Teatro Filarmonico di Verona con Il Flauto magico di Mozart ed uno spettacolo pensato dal regista Mariano Furlani in collaborazione con la coppia artistica dei Masbedo, alias Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, celebri video maker. Uno spettacolo pulito, immediatamente fruibile, che conserva un sapore fiabesco ma non troppo e che lascia allo spettatore quella sensazione di essersi lasciato trasportare in un altro mondo per circa tre ore. La storia del giovane Tamino che corre nel regno di Sarastro per salvare e conquistare la figlia di Astrifiammante è chiara, alla portata di tutti, senza fronzoli né significati nascosti e tutti i contenuti sono esattamente quelli che il libretto di Schikaneder illustrava originariamente. Il registra si concentra soprattutto sul viaggio iniziatico dei due giovani per il raggiungimento della maturità, dell’affrancamento dai vincoli familiari, della scoperta di sé al fine di una elevazione spirituale; la cupa Regina della notte ed il saggio Sarastro sono inizio e fine di un viaggio materiale e spirituale fatto di prove fisiche e morali, grazie alle quali gli innamorati conquistano il premio finale di una serenità quasi ascetica. 

Il palcoscenico è riempito soprattutto dai filmati creati da Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, costituiti per lo più da elementi naturistici inseriti spesso in un contesto astratto, oppure da figure e soggetti colorati che interagiscono con gli interpreti. Il serpente dell’apertura è visibile solo in video e sembra quasi circondare Tamino, come anche il suo flauto, prezioso ausilio per superare le prove, appare filmato per udirne successivamente solo il suono come fosse un elemento sognato, lontano, ma semprpresente. Le scene di Giacomo Andrico completano l’allestimento con elementi che scendono dall’alto e poi scompaiono, oppure con supporti verticali su cui si proiettano parte dei filmati, ed anche uno squarcio del tempio con Sarastro ed il suo seguito, di cui vediamo appunto solo una scalinata sotto cenni di pareti, come a sottolineare che non servano altri dettagli. Straordinario il lavoro sui personaggi da parte di Furlani, che ne accentua le caratteristiche, rende ognuno perfettamente autonomo ma in ottima intesa scenica con gli altri, in un continuo di corse e movimenti ben studiati, usando tutto ciò di cui si dispone, anche se minimo, condito da espressività ed un pizzico di libertà. Le luci di Paolo Mazzon tendono al blu, grigio o rosso, restando sostanzialmente su toni scuri, come in un sogno ad occhi aperti. Infine i costumi sempre ad opera di regista e scenografo sono in linea con l’allestimento, anche un po’ eccentrici se pensiamo alle piume enormi che cingono la schiena di Papageno, ma in generale piacevoli, soprattutto i delicati abiti nuziali di Tamino e Pamina uniti nel finale in veste bianca.

Voci maschili in forma con Leonardo Cortellazzi nei panni di un Tamino che quasi non ha tregua sul palco, la cui voce delicata e uniformemente acuta accentua i toni di un sensibile ma coraggioso principe. Ancora più attivo, come sempre del resto, il Papageno di Christian Senn che qui trova linfa vitale da vendere nel personaggio del simpatico, furbo ma buono amico degli uccelli, dalla voce solida e considerevolmente ambrata.
Autorevole e profondo come la sua voce tenebrosa un bravissimo InSung Sim come Sarastro, mentre forse meno incisivo degli altri vocalmente, ma a suo agio nel ruolo di Monostatos Marcello Nardis il cui costume molto vistoso con cappotto scuro, guanti di pelle ed elmetto multisfaccettato, non passa certo inosservato.
Sul fronte femminile Pamina è interpretata da Ekaterian Bakanova che possiede un timbro vocale certo uniforme e dall’ottimo volume, come pure le doti attoriali sono evidenti e ben si pone sul palco; forse dal punto di vista prettamente vocale il ruolo di Pamina resta leggermente stretto ad una voce così importante. Al contrario Sofia Mchedlishvili come regina, sua madre, ci è parsa un po’ trattenuta se pur perfetta nei punti critici delle sue arie; un po’ di mordente in più avrebbe reso maggiormente credibile il ruolo della oscura regina la cui voce deve essere sì acuta, ma anche uniforme su tutta la gamma per non scomparire appena scende leggermente sul rigo. Piacevolissimo il suono della voce di Papagena, Lavinia Bini, alla cui vista il povero ed ‘affamato’ Papageno non resiste proprio e si fionda subito a consumare una prima notte di effusioni per ampliare la famiglia (dietro le quinte). Le tre dame di Francesca Sassu, Alessia Nadin ed Elena Serra nell’insieme formano un buon impasto vocale, mentre ci sono apparsi parecchio emozionati i giovani fanciulli Federico Fiorio, Stella Capelli, Maria Gioia.
Romano Dal Zovo e Cristiano Olivieri sono ottimi Primo e Secondo sacerdote (nonché rispettivamente secondo e primo armigero), come molto bene anche Andrea Patucelli come Oratore.

Bravo e preparato il coro areniano di Andrea CristofoliniL’orchestra guidata da Philipp von Steinaecker ha prodotto un suono molto profondo e ricco, dalle dinamiche stringenti ed adeguate alle varie scene; in una parola brillante.  

Successo davvero unanime da parte di un folto pubblico che ha apprezzato tutti gli interpreti, il direttore e il team registico, con applausi prolungati e convinti.

Maria Teresa Giovagnoli



LA PRODUZIONE

Direttore d'Orchestra             Philipp von Steinaecker
Ideazione e Progetto               Mariano Furlani e Masbedo
Regia                                      Mariano Furlani
Scene                                      Giacomo Andrico
Costumi                                  Giacomo Andrico e Mariano Furlani
Video                                      Masbedo - Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni
Luci                                        Paolo Mazzon
Maestro del Coro                   Andrea Cristofolini
Direttore
allestimenti tecnici                  Giuseppe de Filippi Venezia


GLI INTERPRETI

Sarastro
InSung Sim
Tamino
Leonardo Cortellazzi
Primo sacerdote/
Secondo armigero
Romano Dal Zovo
Secondo sacerdote/ Primo armigero
Cristiano Olivieri 
La regina della notte
Sofia Mchedlishvili 
Pamina
Ekaterian Bakanova
Prima Dama
Francesca Sassu
Seconda Dama
Alessia Nadin
Terza Dama
Elena Serra
Primo fanciullo
Federico Fiorio
Secondo fanciullo
Stella Capelli
Terzo fanciullo
Maria Gioia
Papagena
Lavinia Bini
Papageno
Christian Senn
Monostatos
Marcello Nardis
 L'oratore Degli Iniziati

Andrea Patucelli

Orchestra, Coro e Tecnici dell'Arena di Verona

Ed. Bärenreiter. Rappresentante per l'Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali Milano
Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona in lingua originale




 








FOTO ENNEVI - FONDAZIONE ARENA DI VERONA

CONCERTO DI VERONA LIRICA CON L’ARENA DI VERONA BRASS QUINTET-TEATRO FILARMONICO DI VERONA, 1 NOVEMBRE 2015




Il secondo concerto che l’Associazione Verona Lirica ha tenuto al Filarmonico di Verona è stato omaggiato dalla presenza del Primo cittadino Flavio Tosi che, confermando la collaborazione tra l’Associazione e la Fondazione Arena, ha augurato a tutti un buon lavoro ed anche ringraziato per l’impegno che il direttivo e tutto lo staff, rappresentato dal Presidente Giuseppe Tuppini sul palco, ha da sempre mostrato nell’organizzare tanti bei pomeriggi musicali.  


Ospite graditissimo e grande ritorno l’Arena di Verona Brass Quintet, che con davvero gran spirito e compartecipazione offre ogni volta interessanti contaminazioni tra i vari generi musicali, inoltre dobbiamo dire che questi musicisti sono anche sempre più spigliati e pronti ad interagire col pubblico. Il tema presentato dal gruppo di ottoni, che ha aperto il concerto, è stato la musica stile ‘Dixieland’, ossia il genere jazzistico attivo negli Stati Uniti agli inizi del Ventesimo Secolo e che univa in sé i ritmi e le melodie delle bande militari, del gospel, del reggae e del blues. Primo brano scelto è stato un tema da cerimonia funebre che inneggia alla vita dei defunti piuttosto che piangerne la dipartita, per poi proseguire con una trascrizione dello swing ‘Harlem’ originariamente per clarino e jazz band, del musicista Henghel Gualdi, molto caro al gruppo di musicisti. Riproposto con lo stesso successo del 2012 il melange ‘When the saints…hallelujah’, una contaminazione molto ben riuscita del tema americano di resurrezione con la celebre ‘Halleluljah’ di Händel, per chiudere poi i loro interventi con un pezzo di uno dei massimi compositori di ragtime, Scott Joplin, un altro brano dedicato alla città di Harlem, seguito da ‘America’, ancora di Gualdi. Davvero un plauso a questi musicisti che, impegnati sempre con le produzioni areniane, sanno anche esplorare generi affini con freschezza, energia e professionalità.

Per la parte dedicata all’opera quattro interpreti amati dal pubblico veronese: il soprano Hui He, il mezzosoprano Sanja Anastasia, il tenore Andrea Carè, il baritono Federico Longhi, perfettamente accompagnati dal Maestro Patrizia Quarta al pianoforte.

Il soprano Hui He torna sempre volentieri a cantare per gli amici dell’associazione lirica veronese, donando sempre tanto di sé al pubblico in sala con la sua voce dal colore inconfondibile ed incredibilmente aggraziato. Tra le arie scelte non poteva mancarne una tratta dalla Madama Butterfly di Puccini, ove nel duetto d’amore del finale primo atto col tenore Carè ha offerto tutta la grazia che la contraddistingue sia nel canto che nella presenza scenica, laddove con Un ballo in maschera e Trovatore di Verdi è apparsa più ‘pacata’, pur nella liricità delle arie ‘Morrò, ma prima in grazia’, e ‘Tacea la notte placida’.

Sanja Anastasia marca molto nel carattere le donne che interpreta spingendo anche con la voce ricca di corpo, soprattutto nei centri che sono il suo forte. Per lei un’aria davvero frequente nei concerti lirici, la celebre ‘Oh mio Fernando’ di Leonora da la Favorita di Donizetti, seguita da un battagliero finale della Carmen di Bizet col tenore Carè, ed un’altra aria amatissima dai mezzosoprani: ‘Acerba voluttà’ dalla Adriana Lecouvreur di Cilea.

Altro interprete dalla carriera internazionale, Andrea Carè ha scelto oltre ai duetti, due pietre miliari del repertorio tenorile, ‘E lucean le stelle’ dalla pucciniana Tosca e ‘Quando le sere al placido’ dalla Luisa Miller di Verdi, generose interpretazioni che danno risalto alla sua voce dalla pasta omogenea con uno squillo in acuto importante. Chiude il poker d’interpreti un bravissimo Federico Longhi  con tre personaggi incredibilmente adatti alla sua personalità: dal verdiano Ford del Falstaff al furbo e manipolatore Schicchi di Puccini, per concludere con un emozionante e sentitissimo Valentine del Faust di Gounod.

Premiazione consueta per gli ospiti tra gli applausi soddisfatti di tutto il pubblico.


Maria Teresa Giovagnoli



IWAN SUSSANIN UNA VITA PER LO ZAR, MICHAIL GLINKA - OPER FRANKFURT, 30 OTTOBRE 2015


Opera d'esordio e autentico capolavoro del musicista russo, che senza abusare delle fonti folkloristiche, qui seppe tradurre le melodie nazionali in una composizione di largo respiro, è diventata negli anni modello di riferimento per eccellenza di numerosi  lavori successivi come il Boris o Principe Igor, e con essa si può dire nasca l'opera russa in Russia.

La musica di Glinka rivela in modo inequivocabile l'appartenenza del compositore russo al mondo spirituale dei romantici, ai loro problemi e ai loro obiettivi, anche se la struttura del suo melodramma rimane quella a forme chiuse con arie, cavatine, cabalette di derivazione occidentale con influenze marcate dai lavori di Bellini e Donizetti (che conobbe personalmente durante un suo viaggio in Italia) e talora anche del grand-opèra francese, impostata su una partitura di grande genialità, ricca di colore, trasparenza e suggestione con un' orchestrazione abilissima, tanto da aver ricevuto le lodi di un esperto come Berlioz.


L' allestimento visto all' Opera di Francoforte va lodato innanzitutto per il coraggio avuto nel mettere in scena un lavoro tipicamente russo che richiede uno studio approfondito sia della lingua sia del colore metrico e ritmico dato dalla parola russa, ma anche per aver assemblato un cast che al di fuori dei circuiti dei grandi teatri russi di tradizione, sembra impossibile trovare.

Sebastian Weigle a capo della direzione musicale, a parte qualche taglio nei ballabili del secondo atto, presenta una partitura integrale scegliendo tempi morbidi soprattutto nei momenti corali, e sono tantissimi, sia nei momenti strumentali, prediligendo una concentrazione sul colore piuttosto che sull'accentuazione ritmica a scapito certo di una minore tenuta drammatica di insieme. Riesce tuttavia a dare una sua impronta personale ad una partitura spesso abusata nella sua accezione russa, avvicinandosi di più al colore dell'opera romantica italiana piuttosto che al fiabesco ed al colore espressivo. Ne risulta un lavoro che musicalmente in parte perde il suo fascino “folklorico” ma ne acquista per precisione e scavo della nota.

Harry Kupfer, all'alba dei suoi 80 anni, immagina una messa in scena che si discosta anni luce da quell' armamentario fiabesco e tradizionale tipico di questi lavori, per trasportare l'azione durante la seconda guerra mondiale dove gli invasori polacchi sono soppiantati dai soldati tedeschi.
Ecco allora che nel secondo atto Kupfer fa cantare il coro non più in russo ma in tedesco e così sempre quando non interagiscono con la controparte russa. Se da un lato può risultare interessante per marcare ancora di più la differenza tra due parti nemiche, alla lunga diventa fuorviante dando l'impressione di un pasticcio al quale sicuramente avremmo fatto a meno, così come delle scialbe coreografie di Irene Klein, completamente decontestualizzate.

Le spurie scene di Hans Shavernock, aiutate dai video di Thomas Reimer rimandano ad una desolazione metafisica, nella quale comunque la regia di Kupfer si muove a suo perfetto agio concentrata in maniera efficacissima sulla recitazione dei singoli e sui movimenti delle masse, qui vere protagoniste. L'Epilogo si svolge quindi su di una Piazza Rossa dove dal Mausoleo di Lenin, la nomenklatura russa assiste e celebra la morte degli eroi del popolo diffondendo da altoparlanti su tutta la piazza, il giubilo corale.

Vero mattatore della serata è stato il sempreverde Sir John Tomlison, che dall'alto dei suoi 70 anni celebra un Ivan perfettamente a suo agio nella figura come nella drammaturgia e poco importa se la voce risulti a tratti affaticata o imprecisa, dalla sua parte c'è un uso sapientissimo del colore e delle dinamiche che spesso coprono le manchevolezze date dall'uso non familiare con l' idioma russo. Tomlinson è un Sussanin credibilissimo che si spende fino in fondo per creare un personaggio pieno di carattere e partecipazione emotiva.

Meravigliosa Kateryna Kasper quale Antonida: vera voce di soprano lirico di agilità, si muove perfettamente a suo agio nelle difficoltà della sua parte a partire dalla cavatina del primo atto risolta, assieme alla cabaletta successiva, con sicurezza e trasporto, con il più di essere madrelingua russa che sa dare la giusta accentazione alla fonetica nell'intera rappresentazione.

Così pure  il tenore russo Anton Rositskiy nella parte di Sobinin dalla voce chiara e duttilissima che sa piegarsi senza indugio alle agilità, così come all' accentuazione drammaticolirica che il suo personaggio richiede.

Deludente la prestazione di Katharina Magiera quale Wanja che se dalla sua ha una scrittura musicale infima perennemente sulle note di passaggio, ha notevoli problemi di intonazione, evidenziati soprattutto nel duetto IwanWanja nel quarto atto così come nella tremenda cabaletta con coro che chiude la scena.

Perfetti nei loro personaggi il comandante di Thomas Faulkner e il corriere polacco di Michael McCown.

Una menzione e lode a parte merita il preparatissimo Chor und Extrachor der Oper Frankfurt diretto da Tilman Michael che ha saputo brillare per compattezza e duttilità nelle numerose prove che la partitura richiede.

Successo vivissimo per tutti da parte di un teatro pieno in ogni ordine di posti.

Pierluigi Guadagni


LA PRODUZIONE

direzione musicale              Sebastian Weigle
regia                                  Harry Kupfler
scene                                Hans Schavernoch
costumi                             Yan Tax
luci                                    Joachim Klein
video                                 Thomas Reiner
drammaturgia                 Norbert Abel
direttore del coro               Tilman Michael
Coreografie                      Irene Klein


Ivan Susanin                   John Tomlinson
Antonida                         Kateryna Kasper
Sobinin                            Anton Rositskiy
Wanja                             Katharina Magiera
Un Comandante            Thomas Faulkner
Un Messaggero              Michael Mccown


Orchestra, Coro ed Extracoro dell'Opera di Francoforte



Foto Barbara Aumüller

IL CORSARO, G. VERDI – TEATRO REGIO DI PARMA, DOMENICA 25 OTTOBRE 2015





Il Corsaro, opera reietta che Verdi completò un po’ in fretta e contro voglia, spinto da tanti pensieri contingenti e nuove sfide più interessanti all’orizzonte, viene ripreso per il Festival Verdi al Regio di Parma, rispolverando la bella produzione che oltre dieci anni fa prevedeva la regia del compianto Lamberto Puggelli, ripresa per l’occasione da Grazia Pulvirenti Puggelli. Nonostante il prodotto a cui abbiamo assistito sia parecchio datato, abbiamo comunque constatato che conserva una sua funzionalità sia scenica che drammaturgica, in quanto ogni  personaggio ha lo spazio sufficiente per esprimere le sue peculiarità, all’interno della ambientazione tradizionale di Marco Capuana che sottolinea ogni scena seguendo il più possibile il libretto. Corrado è un fiero e prorompente corsaro che non accetta di piegarsi al suo nemico e nonostante le lusinghe della conturbante Gulnara resta fedele nel cuore alla compagna Medora. Il pascià Seid è altrettanto energico e sicuro di sé, iroso e vendicativo. Le due donne sono esattamente l’una l’opposto dell’altra: veste bianca e movenze da tenera donzella un po’ timida per Medora, abiti più sensuali e adatti ad un harem per la passionale Gulnara, che entra in scena mentre le odalische la aiutano ad abbigliarsi nella sua stanza. I bei costumi sono opera di Vera Marzot. Intenso il lavoro di luci di Andrea Borelli per le scene sulla nave, nell’harem e nel finale tragico, con forti contrasti tra luci ed ombre e colori dalle tinte forti

Francesco Ivan Ciampa prepara agli interpreti un tappeto molto energico su cui muoversi sin dall’apertura, con ritmi serrati che preannunciano il vigore degli eventi e la passione dei protagonisti. L’orchestra Filarmonica Arturo Toscanini offre così un suono brillante e chiaro, senza comunque cadere nel bandistico o nel troppo concitato, in armonia con le varie scene.
In questo terreno spicca la generosità di Diego Torre come Corrado, che alla recita cui abbiamo assistito è apparso in buona forma e pronto ad affrontare le sfide del ruolo, grazie alla voce che corre in avanti voluminosa con timbro ricco e pastoso.

Meno convincente il suo antagonista Seid interpretato da Ivan Inverardi, che appare subito troppo dirompente pregiudicando una limpida emissione vocale: il suono è spesso spinto senza giusto dosaggio ed anche il suo personaggio sembra più un comune uomo esasperato che un possente pascià.

Grintosa e dinamica la Gulnara di Silvia Dalla Benetta, che riprende il ruolo che le portò tanto successo anni fa e che ancora una volta ne conferma presenza scenica e capacità attoriali sostenute da una voce duttile e dal suono brillante.
Si mostra giustamente delicata la Medora di Jessica Nuccio, la cui voce si mostra sempre più agile e tecnicamente sicura ogni volta che la ascoltiamo e che qui si piega ad una interpretazione eterea e quasi sognante pensando sempre al suo eroe.

Dignitosi Luciano Leoni e Seung Hwa Paek nei ruoli di Giovanni ed Eunuco/schiavo, chiude il cast Matteo Mezzaro come Selimo.
Bellissimo il colore d'insieme delle voci del coro preparato da Martino Faggiani e Fabrizio Cassi.

Recita molto apprezzata, applausi generosi per tutti, pubblico con cospicua percentuale di ospiti d’oltralpe.
Maria Teresa Giovagnoli 

LA PRODUZIONE

Maestro concertatore                  Francesco Ivan Ciampa
e direttore
Regia                                             Lamberto Puggelli
Ripresa da                                     Grazia Pulvirenti Puggelli
Scene                                             Marco Capuana
Costumi                                         Vera Marzot
Luci                                               Andrea Borelli
Maestro d'armi                             Renzo Musumeci Greco
Maestro del Coro                         Martino Faggiani
Altro Maestro del Coro               Fabrizio Cassi

GLI  INTERPRETI
Corrado

Diego Torre

Medora
Jessica Nuccio
Seid
Ivan Inverardi
Gulnara
Silvia Dalla Benetta
Selimo
Matteo Mezzaro
Giovanni
Luciano Leoni
Un eunuco
Seung Hwa Paek
Uno schiavo
Seung Hwa Paek
 
  
 
 
 
 
 
 
 
    

FILARMONICA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Allestimento del Teatro Regio di Parma
originariamente coprodotto con Teatro Carlo Felice di Genova

Spettacolo con sopratitoli in italiano e inglese




Foto Roberto Ricci

ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO Concerto di apertura della 50 stagione concertistica



F.Liszt
SPOSALIZIO (2015)

Elaborazione per orchestra di Salvatore Sciarrino
PRIMA ESECUZIONE ASSOLUTA


G.Mahler
Sinfonia n.2 in do minore “Resurrezione”
Versione per piccola orchestra a cura di G.Kaplan e R. Mathes (2013)

PRIMA ESECUZIONE IN ITALIA

  “La dentro c'è l'eroe della mia prima sinfonia in re maggiore,
 che ora portano alla sepoltura. E' come se la sua vita fosse riflessa
  in uno specchio limpido e osservata tutta insieme, dall'alto.”

G.Malher


Apertura in grande stile per la cinquantesima stagione concertistica della Orchestra di Padova e del Veneto, la prima ideata dal suo nuovo direttore musicale Marco Angius che, interprete particolarmente sensibile per il repertorio moderno e contemporaneo, ha previsto, tra l'altro,  un vero e proprio “percorso Mahler” con la futura esecuzione della sinfonia n.1 e dei frammenti della sinfonia n.10.


Non solo, per l'occasione ha commissionato a Salvatore Sciarrino un'elaborazione per orchestra del brano pianistico che apre la parte italiana di “Année de Pèlerinage”, quaderni che sotto la metafora del viaggio raccolgono spunti letterari, colti e meditativi.

La scelta di Sciarrino di strumentare e trasportare un brano per pianoforte ad un organico orchestrale sembra dettata dal suo personale desiderio di proclamare la presenza virtuale degli autori che si intuiscono attraverso l'originale pianistico.

 Nello “Sposalizio” la scrittura Lisztiana sembra guardare più che all'epoca stessa in cui fu concepito, alle generazioni successive e in particolar modo a Debussy, Scriabin e Mahler.

Ecco quindi che il compositore siciliano trasporta in un tessuto orchestrale tutte le nuance floreali, favolistiche e sentimentali raffaellesche che già traspaiono nel lavoro di Liszt, coinvolgendo l'ascoltatore in una atmosfera trasparente analoga al quadro dal quale prende l'ispirazione.

Pagina ispirata, omaggio immaginario e tuttavia rigoroso di un compositore contemporaneo ad un genio musicale del passato.

Perchè sentire la necessità di una trascrizione per orchestra ridotta di una brano quale la sinfonia n.2 di Mahler?

Gilbert Kaplan, un mecenate plurimiliardario statunitense che attraverso la sua fondazione ha fatto della sinfonia n.2  la sua ragione di vita curandone la partitura critica, ha pensato che per ovviare alle difficoltà di esecuzione di una scrittura che richiede almeno un centinaio di professori d'orchestra, trascrivendone la partitura per un organico più snello alla portata di orchestre regionali e di teatri di provincia che non possono permettersi una mole di esecutori fuori norma,(oltre al consueto organico orchestrale, Mahler ha previsto il raddoppio di tutte le parti di legni, ottoni, arpe e timpani)  la sua ragione di vita avesse avuto più possibilità di esecuzioni.

Il risultato è una più agevole decifrabilità del gigantismo Mahleriano, giacchè se ne possono osservare più agevolmente le nervature strutturali di un lavoro che al conto finale non è fatto per stupire con l'ampollosità dei decibel ma per i piccoli dettagli che estratti da un' amalgama orchestrale stupefacente colpiscono per caratura struggente ed ispirazione.

Marco Angius sa come costruire costantemente la tensione drammatica fin dall'apertura, ecco quindi che il primo tempo, quell'”allegro maestoso con espressione assolutamente seria e solenne” diventa sottile ed efficace anche con un organico ridotto sapendo cogliere al volo tutti i diversi piani di lettura dove il culmine del climax riceve tutto il peso dovuto con la forza orchestrale di un piccolo ensemble.

Nell' “andante moderato, molto comodo”, la leggerezza del tocco orchestrale risuona straordinariamente bene soprattutto nella parte dove è richiesto agli archi un “pizzicato” di notevole difficoltà esecutiva.

E' con il quarto movimento “Urlicht” che traspare completamente la concezione cameristica di questa partitura sterminata.

Complice anche la ispiratissima esecuzione di Sara Mingardo,  dalla voce finemente controllata che sa far risaltare le sinuosità brunite della sua voce di perfetto contralto traendo dalla parola musicata tutte le struggevolezze di questa scrittura, il corale tratto dallla raccolta dei Wunderhorn è una summa di virtuosismo cameristico.

La grande esplosione all'inizio del “Im tempo des scherzo” forse perde un poco della corposità del suono richiesta ma non suona mai comunque destrutturata, mentre l'immenso corale “Die Aufestehung” prende via via corpo introdotto dai profetici annunci degli ottoni in retropalco, fino all'ingresso dell'organo, del coro (il preparatissimo e concentrato Coro del Friuli Venezia Giulia diretto da Cristiano Dell'Oste) e delle due voci soliste (molto brava il soprano Mina Yang) per concludersi  sontuosamente in un turbine di solennità musicali, perfettamente controllate dalla mano ferma e precisa di Angius.

Successo vivissimo con ripetute chiamate per Direttore, solisti ed esecutori tutti da parte di un Auditorium stipato in ogni ordine di posti da un pubblico molto attento e festoso.

Pierluigi Guadagni



Foto Silvia Lelli

LE NOZZE DI FIGARO, W. A. MOZART – TEATRO GRANDE DI BRESCIA, VENERDI’ 23 OTTOBRE 2015




Con un cast proveniente dalla 65° edizione del concorso As-Li-Co per giovani cantanti europei va in scena al Teatro Grande di Brescia Le nozze di Figaro di Mozart, con l’allestimento che nel 2006 Mario Martone ideò per il Teatro San Carlo di Napoli e qui ripreso da  Raffaele di Florio. In una ambientazione molto semplice, che prevede soltanto l’utilizzo di una doppia scala che converge al centro di una grande sala da pranzo, rimanendo pressoché uguale per tutto il tempo salvo piccoli dettagli e spostamenti, è priorità per il regista  l’espressività dei personaggi con le loro fissazioni e pulsioni. Avendo infatti a disposizione una cornice immediatamente fruibile di stampo tradizionale, curata da Sergio Tramonti, è più facile calarsi nella storia sia da parte degli interpreti che del pubblico che, come spesso accade ultimamente, viene coinvolto quasi sempre grazie all’estensione del palco intorno alla buca e con i personaggi che attraversano la platea. Questi sono lasciati molto liberi di esprimersi e dobbiamo dire che abbiamo notato nei giovani protagonisti proprio una vena attoriale molto spiccata, che in taluni è stata anche più incisiva rispetto al canto. Nella tradizione anche i garbati costumi di Ursula Patzak che abbiamo appunto potuto ammirare ed apprezzare da vicino.

Nel cast molto interessante Federica Lombardi nel ruolo della Contessa. La sua interpretazione compita ma dai tratti passionali e malinconici è arricchita da una voce corposa soprattutto nella zona centrale, il che aggiunge un tocco di drammaticità al personaggio.  
Il suo conte è un buon Vincenzo Nizzardo che pur non possedendo una voce da baritono purissimo ha impersonato il marito dalle voglie fedifraghe con consapevolezza e buono spirito.

Così  Andrea Porta è un Figaro molto vivace in scena dall’espressività assai marcata, con una vocalità che secondo noi può offrire ancor di più al personaggio in futuro.
Vispa e frizzante la  Susanna di Lucrezia Drei, dalla voce fresca e acuta, anch’ella molto attiva sul palco in perfetta simbiosi col partner Figaro.

Altrettanto ricca di verve la spigliata Marcellina di Marigona Qerkezi che può vantare anche un timbro vocale rotondo e dal buon volume.
Molto delicata Cecilia Bernini come Cherubino en travesti, di cui il regista ha molto sottolineato i desideri e le passioni da giovinetto beato fra le donzelle che popolano la pazza vicenda.

Giulia Bolcato è una deliziosa Barbarina dalla voce leggera e ben impostata; il maestro di musica Basilio è interpretato da Matteo Macchioni che si conferma tenore in crescita e che vorremmo risentire anche in ruoli più impegnativi; chiudono il cast Francesco Milanese come Don Bartolo, anch’egli molto impegnato in scena, il giudice un po’ petulante di Ugo Tarquini, lo zio Antonio, Carlo Checchi e le contadine di Anna Piroli ed Elena Caccamo.

La conduzione del Maestro Stefano Montanari si mostra di notevole apporto e valore aggiunto allo spettacolo. L’esperienza del direttore in questo genere di repertorio permette ai giovani interpreti di esprimersi certo in libertà ma costantemente guidati da occhio vigile che li segue passo passo. L’ottima orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano ha inoltre trovato ancora una volta brillantezza e dinamiche atte ad esaltare ogni singolo momento, in egual misura dei recitativi, ove è impegnato al clavicembalo sempre Montanari.
Molto buoni gli interventi del coro preparato da Dario Grandini.
Applausi convinti per tutti da parte di un teatro esaurito con pubblico delle grandi occasioni.

Maria Teresa Giovagnoli      



LA PRODUZIONE

Maestro                     Stefano Montanari
Concertatore e direttore  
al clavicembalo
Regia                          Mario Martone
Ripresa da                 Raffaele di Florio
Scene                          Sergio Tramonti
Costumi                     Ursula Patzak
Luci                            Pasquale Mari
Coreografie               Anna Redi
Maestro del coro       Dario Grandini


GLI INTERPRETI

Contessa                    Federica Lombardi
Conte                         Vincenzo Nizzardo
Susanna                     Lucrezia Drei
Figaro                        Andrea Porta
Cherubino                 Cecilia Bernini
Bartolo                       Francesco Milanese
Marcellina                 Marigona Qerkezi
Basilio                        Matteo Macchioni
Curzio                         Ugo Tarquini
Barbarina                  Giulia Bolcato
Antonio                      Carlo Checchi
Contadine                  Anna Piroli, Elena Caccamo

Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano
Coro di OperaLombardia
Allestimento del Teatro San Carlo di Napoli

Coproduzione Teatri di OperaLombardia Teatro Sociale di Como Teatro Ponchielli di Cremona Teatro Grande di Brescia Teatro Fraschini di Pavia Teatro Donizetti di Bergamo

Foto  Giulia Selvaggia Virgara